Clarice Bean, alias Clarice Bean Tuesday, è lo spumeggiante personaggio creato dalla scrittrice inglese Lauren Child, i cui romanzi hanno già riscosso un enorme successo non solo in patria, ma anche nel resto dell’Europa. In Italia, nel corso del 2007, la casa editrice Feltrinelli ne ha pubblicati tre, ovvero Eccomi qui, Clarice Bean!, Clarice Bean Sillaba G.U.A.I. e Clarice Bean, fai finta di niente!.
Clarice Bean, facilmente identificabile come una sorta di alter ego della giovane autrice, è una ragazzina di età indefinita, che tuttavia possiamo immaginare intorno ai nove o dieci anni. Di tutti i problemi che la affliggono (ebbene sì, la nostra eroina, come tutti i bambini, ha il potere di trasformare le piccole inezie quotidiane in veri problemi esistenziali!), al primo posto si pone indubbiamente la scuola. E scuola, per la nostra Clarice, significa prima di tutto una cosa, o meglio una persona: la signora Wilberton!
Suvvia, ammettiamolo: chi di noi, nel corso della carriera scolastica, non ha mai avuto a che fare con una maestra o una professoressa scorbutica, arrogante e con la quale era impossibile (o quasi) andare d’accordo? Nessuno, vero? Ecco, tra Clarice Bean e la signora Wilberton si può dire che ci sia tutto tranne la simpatia reciproca. Del resto la povera Clarice, pur dimostrando un’intelligenza e un’acutezza d’ingegno invidiabili per la maggior parte dei bambini di oggi (e anche di ieri), non è certo ciò che si definisce un alunno modello: già dal primo episodio possiamo intuire che l’aritmetica non è il suo forte, ma dalle prime pagine di Clarice Bean sillaba GUAI è evidente che il suo “tallone d’Achille” è l’ortografia. Tutto questo per l’antipaticissima signora Wilberton è sufficiente a relegare la protagonista nella cerchia degli “alunni di serie B”. Sì perché la signora Wilberton rappresenta esattamente l’insegnante “vecchio stampo”, antiquata e conservatrice, che mette le “orecchie d’asino” in testa ai bambini cattivi e fa preferenze tra gli alunni sulla base di un suo personalissimo criterio di giudizio, criterio che applica anche quando si tratta di decidere cosa è “istruttivo” e cosa non lo è.
A complicare le cose a scuola ci si mettono alcuni compagni di classe, come l’insopportabile Grace Grapello, la saputella della classe, e il noiosissimo Robert Granger, il quale è palesemente innamorato di Clarice e non perde mai l’occasione per farle la corte (a modo suo, ovviamente).
Purtroppo, anche a casa non sembra andare meglio. Clarice è la terza di quattro fratelli, con i quali non sempre va d’amore e d’accordo. Il peggiore dei tre è il più piccolo, Minal Cricket: ha solo cinque anni ed è una vera “piattola”, per dirla con le parole di Clarice. Anche la sorella maggiore, Marcie, non è da meno: quando hanno distribuito le buone maniere, lei doveva essere al gabinetto. Il fratello maggiore, Kurt, è un ragazzo molto introverso e taciturno: se ne sta sempre chiuso nella sua stanza, dove regna il disordine, e non è molto amico dell’acqua e sapone. Le cose per lui (e di riflesso anche per Clarice) migliorano nel momento in cui trova un lavoro e le ragazze sembrano improvvisamente accorgersi di lui.
Per fortuna, la vita di una ragazzina ha anche molti lati positivi. E allora ecco che troviamo Betty P. Moody, la sua migliore amica, e Karl Wrenbury, il suo pestifero compagno di classe con il quale, pur non andando per niente d’accordo all’inizio, finirà presto per fare amicizia. Anzi, già nel secondo episodio della serie appare lecito sospettare che Clarice Bean consideri Karl qualcosa di più che un semplice amico e compagno di giochi.
Inoltre, non va trascurato il ruolo che riveste un ulteriore personaggio che, pur nel suo essere immaginario, gioca una parte fondamentale nella vita di Clarice Bean. Si tratta di Ruby Redfort, la ragazza-detective nata dalla penna della scrittrice Patricia F. Maplin Stacey: sia Clarice che Betty vanno letteralmente pazze per i suoi libri. Li hanno letti tutti da cima a fondo almeno tre volte, e continueranno a farlo finché la scrittrice non ne pubblicherà un altro. Le avventure di Ruby Redfort accompagnano Clarice praticamente in ogni momento della sua esistenza quotidiana, tanto che questo personaggio immaginario sembra quasi rappresentare una sorta di alter ego della nostra protagonista. Anche Ruby, infatti, quando non è impegnata in qualche missione segreta deve tornare a confrontarsi con il fatto di essere una ragazzina di undici anni, sebbene un po’ speciale: e allora ecco che alla signora Wilberton della realtà corrisponde la signora Drisco nella finzione, così come nell’odiosissima Vapona Bugwart anche Ruby Redfort trova la sua Grace Grapello. Persino le sue avventure, sebbene infinitamente più emozionanti, coincidono molto spesso con gli avvenimenti della vita di Clarice Bean, tanto da offrirle molto spesso una valida soluzione ai suoi problemi.
Nonostante qualche esitazione iniziale, dovuta al fatto di dovermi confrontare e identificare con un personaggio totalmente “al femminile”, tradurre questi tre libri si è rivelato per me un’esperienza molto piacevole. Innanzitutto, mi sono divertito tantissimo a fingere di tornare alle scuole elementari, che in fondo per me sono un ricordo ancora piuttosto “fresco”: solo così è stato possibile rendere al meglio il registro linguistico con cui si esprimono Clarice Bean e gli altri personaggi di Lauren Child. Proprio l’aspetto linguistico, inoltre, ha rappresentato per me la sfida più avvincente. La narrazione di questi tre episodi si potrebbe ben paragonare a un torrente di montagna, il cui corso, altrimenti uniforme, è spesso rallentato da rocce, tronchi o altri ostacoli. Tali ostacoli, di cui il “torrente” Clarice Bean è costellato, sono i frequenti giochi linguistici, di cui Lauren Child si rivela un’abile maestra. Non sempre è stato facile renderli in italiano, soprattutto quando è stato il momento di tradurre il secondo episodio, Clarice Bean sillaba GUAI, dove l’ortografia era il leitmotiv dell’intero romanzo. L’esempio più rappresentativo è forse il momento in cui Clarice Bean si mette in testa di voler studiare il vocabolario, con l’intento d’imparare quante più parole possibili e migliorare così la sua ortografia.
Naturalmente, decide di cominciare dalle lettere meno frequenti, ovvero la Q, la X e la Y. Per renderci partecipi delle sue fatiche, Clarice si lancia in una serie didialoghi e soliloqui appositamente infarciti di parole che iniziano con quelle lettere. Dopo aver studiato i vocaboli con la Y, per esempio, ci racconta di aver sognato, quella stessa notte, “uno yak che voleva uno yogurt poi saliva su uno yacht a fare un po’ di yoga, ma trovava solo una yurta piena di yankee che andavano nello Yemen”. Inutile specificare che ho dovuto inventarmi non solo molte parole, ma anche metà della “scena”. L’inglese, infatti, recitava: “That night I dream that a youthful yak yearns for some yoghurt so it gets aboard a yacht and sails off for yonks but in the end all he finds is a yard full of yellow yams”.
Impegnativo, non c’è dubbio, ma anche molto divertente.