Cuentos de la oficina (Racconti dell’ufficio) venne pubblicato per la prima volta nel 1925. Il suo autore nacque nel 1893 a Buenos Aires e vi morì nel 1946 per un attacco cardiaco. Fu poeta e scrittore, ma anche impiegato di banca, fondatore di riviste politiche, drammaturgo, agitatore. Trovare per lui una posizione, in un panorama letterario così rigidamente diviso, tra i protagonisti delle due correnti più note e vivaci del tempo (quelli di Boedo, quelli di Florida), è operazione complicata. Complicata dalle scelte e dallo stile letterario di Mariani, come pure dalla sua stessa personalità. Roberto Mariani, nelle poche testimonianze che possono aiutare a delinearne la figura, viene descritto come uomo timido, riservato, ma dalle idee molto precise e taglienti. I Cuentos de la oficina sono la sua opera più compiuta, ne manifestano tutta la scomodità e probabilmente individuano anche le ragioni della severa sorte letteraria che è toccata alla sua memoria, più ingiustamente che ad altre.
Partiamo dal fulcro narrativo di questa raccolta e dimentichiamo immediatamente l’eroe rivoluzionario del proletariato, o il nobile portatore dei valori nazionali. I sette racconti narrano vite sogni e disgrazie di impiegati a Buenos Aires. L’apertura è affidata a un’eccellente Ballata dell’ufficio – una lirica tutta laica e carnale – che dona voce e corpo all’azienda, alla casa, all’ufficio, ente dotato di vita propria che si fa di volta in volta ospite caverna nido culla e tomba dell’impiegato. Il resto è prosa. E la prosa di Mariani è asciutta e precisa, ironica e molte volte cinica, ma è dotata di una grande capacità descrittiva che offre sensazioni teatrali e cinematografiche; leggendo si può sentire un caldo infernale, avvertire l’odore di fumo dei caffè o quello stantio degli appartamenti, si è accecati dalle luci degli incroci e si è stanchi, come solo al venerdì sera si è stanchi. La sua grande maestria nel ricostruire ambienti e stati d’animo può essere crudele per il lettore, che a prezzo di strette allo stomaco, o preda di incontrollabili ghigni, riconosce nelle disavventure, nelle ambizioni e nelle piccolezze dei personaggi dei racconti qualcosa di noto e per niente distante. Questo senza che vi sia mai una forzatura del coinvolgimento attraverso l’uso di mezzucci narrativi. Non è infatti il realismo ciò che rende degni di nota questi racconti, Mariani di fatto preferisce fare incursione nel grottesco per risignificare il reale che descrive, e ridicolizzare gli accenti retorici in ciò che racconta: il suo richiamo al lettore è basato sulla complicità, e sulla umanità. La lente d’osservazione (e la cosa osservata) è certo una figura ambigua e insinuante, ritratta e ignorata, ma è uno strumento narrativo e critico preziosissimo, perché Mariani esercita la letteratura restando lontano dal rischio di pontificare o proporre toni moralistici rispetto a ciò che analizza.
La complessa realtà argentina d’inizio Novecento è segnata da grandi conflitti sociali e culturali: le istanze della piccola borghesia e quelle della classe proletaria, l’apporto dell’immigrazione, la coesistenza di queste realtà con l’impronta culturale e politica delle grandi famiglie rurali e industriali. I Cuentos de la oficina ne individuano e sollecitano i nervi scoperti o nascosti, e rendono Roberto Mariani uno dei più interessanti e sconosciuti rappresentanti dell’avanguardia letteraria argentina dei primi anni del Novecento.