Sono trent’anni che traduco. Ho passato il 30% di quel tempo a desiderare intensamente di farlo. Di essere un traduttore a tempo pieno. Di dedicare tutto il mio tempo alla traduzione. Poi ho capito che per le persone della mia generazione vivere di traduzione non era davvero possibile. Abbiamo tempi pre-informatici. Le frasi girano in testa per minuti e minuti, come quei modelli fintamente tridimensionali che si vedono nei documentari alla tv, prima di venire trasmesse alle dita che le compongono sulla tastiera. I tempi si allungano, le cartelle languono. Per il 50% di quegli anni ho dunque accettato di tradurre accanto. Accanto alla scuola, all’impegno sociale, all’insegnamento della traduzione, alle fiere del libro, alle attività culturali. Poi ho cominciato a pensare che fosse ora di smettere. Ho rallentato. Ho conservato un libro all’anno per non dire “facevo la traduttrice”, “ho fatto la traduttrice letteraria per 25 anni”. Poi mi sono detta che 25 anni sono tanti per un mestiere che non ti fa vivere. Che anche un libro all’anno comunque lo rubi alle notti e alle vacanze. Che a 50 anni hai bisogno del tuo beauty sleep. Che largo ai giovani. Mi sono detta: finisco i contratti firmati e non lo faccio più. Just say no. Non è così difficile. Ho detto no a cose bellissime, a cose cortissime. In fondo c’erano ancora i contratti da finire, e mi preparavo al salto nel vuoto.
Poi è arrivato un libro, o l’idea di un libro, il 26 luglio del 2007, sulla coda di un Castoro:
«Come stai? Ti scrivo memore della tua voglia di tradurre qualche libro per ragazzi... Abbiamo appena acquisito un libro molto speciale che si intitola “Diary of a Wimpy Kid”. È un racconto in forma autobiografica (50/60 cartelle) inframmezzato da qualche vignetta. Ha una forma particolare perché sembra scritto a mano proprio come in un diario. È di buona qualità e molto interessante nel raccontare la difficoltà di essere ragazzi “normali” e magari anche un po’ “sfigati”.
È al secondo posto in classifica da qualche settimana sul New York Times: grande successo negli Usa.
Non è un libro facile da tradurre: molto americano e con un linguaggio che deve essere adolescenziale senza essere volgare (il protagonista non lo è).
Allora ho pensato a te. Chissà se ti interessa, chissà se ce la fai perché deve uscire a febbraio 2008 e l’avremmo bisogno al più tardi per il 10 novembre.»
Ora, io ho un debole per la letteratura per ragazzi. Da quando ero bambina e poi ragazzina. Invidio furiosamente Piumini. Vorrei saperli scrivere io. Scrivere un libro tradotto in 21 lingue. Tradurlo è forse second best. Lo so, lo so bene, che se hai una dipendenza devi stare alla larga dalla sostanza. Lo so che non bisogna cedere a quell’ultima sigaretta, a quell’ultima sorsata di birra. Ma che male può davvero farmi? È un libro per ragazzi. L’undici novembre sarà tutto finito. Al massimo un giro di bozze. Lo faccio? Lo faccio.
L’ho fatto.
Mi sono buttata in questo libro per ragazzi che Jeff Kinney ha scritto per adulti. In questo libro nato nel 2004 online a www.funbrain.com. Ho ingaggiato mia nipote come editor e critico. Allora aveva la stessa età di Greg e la stessa riluttanza alla lettura di milioni dei lettori del Wimpy Kid. Ho imprecato contro il clima culturale del paese in cui vivo, che paga gli insegnati e i traduttori col metro dell’età del loro pubblico: minore è l’età dell’allievo/lettore, minore è il compenso; ovvero la retribuzione è inversamente proporzionale alla difficoltà e alla responsabilità. Ma mi sono divertita. Oh, sì, mi sono divertita.
E ci sono ricaduta. Perché dopo il primo “Diario di una schiappa” c’è stato “La legge del più grande”, e ora ho in consegna “The last straw”, che non è affatto la goccia che fa traboccare il vaso, perché il 12 ottobre negli USA è uscito il quarto volume e ne sono previsti altri tre (Greg è l’alterego di Harry Potter, credo). E il 2 aprile 2010 uscirà il film. Il primo della serie? “& I’m hooked. For good”.