«Chi abbia qualche consuetudine con le note biografiche avrà probabilmente già capito, dalle evidenti lacune della presente, che la vera identità dell’autore è circondata da un fitto mistero. Lo è al punto che dei suoi dati anagrafici non fanno parte né il nome né il cognome usati qui. Se qualche lettore volesse provarsi a indovinare chi effettivamente sia Patrick Dennis, può rivolgersi all’editore, che sarà lieto di ascoltarlo. Ma a patto che il lettore stesso non pretenda dall’editore un cenno di smentita o di conferma».
Grossomodo, quanto segue si può considerare un’iscrizione, fuori tempo massimo, al gioco lanciato dal risvolto della prima edizione di “Zia Mame”, ma il lettore di oggi, rispetto al suo predecessore del 1955 che brancolava nel buio, ha un piccolo punto d’appoggio, la certezza che Patrick Dennis si chiamava, in realtà, Edward Everett Tanner III. È quasi più di quello che l’interessato sapesse di sé stesso.
Nel 1955 il manoscritto di “Zia Mame” era stato rifiutato da diciannove editori, che col fiuto e la lungimiranza tipici della categoria lo avevano giudicato invendibile. « Invendibile », per chi non lo sapesse, è un giudizio che in editoria si applica a tipologie di opere molto diverse, fra le quali spiccano, nell’ordine, alcuni titoli che di lì a poco verranno stampati in milioni di copie, quasi tutti i libri illustrati e tutte le raccolte di racconti, senza distinzione. “Zia Mame” in origine era una raccolta di racconti, il che spiega sia i rifiuti, sia la decisione presa da Vanguard Press, cioè comprare il libro e trasformarlo in qualcosa che si potesse presentare come “romanzo”. Della missione si incarica un giovane e brillante editor, Julian Muller, che in una settimana o giù di lì inventa l’escamotage vincente. Dal punto di vista editoriale, gli interventi sono finiti. Da tutti gli altri cominciano adesso.
Da qui in avanti, la vicenda di “Zia Mame” non è più solo editoriale, e sembra rispettare un copione noto. A ventiquattr’ore dall’uscita della recensione più temuta, quella del New York Times, Robert Fryer, forse il più importante produttore di Broadway, compra i diritti teatrali del libro. Dentro di sé Fryer ha anche già scelto la sua protagonista, che poteva essere solo la più elegante, spiritosa, linguacciuta fra le (quasi) ex star di Hollywood: Rosalind (Roz) Russel. Le manda subito il romanzo, che da quel giorno stesso e per il resto della vita Russel considererà cosa “sua” – e di nessun altro, con buona pace delle innumerevoli aspiranti alla successione. Per questo, o anche per questo, il making di “Zia Mame” sarà talmente movimentato da fornire, in sé, materia per un romanzo, e chi volesse verificarlo di persona deve solo leggere le memorie di Roz, che oltre al titolo (Life is a Banquet!, motto di Miss Dennis) prendono da Mame tutto il resto, a cominciare dall’inattendibilità – e adorabilità – della voce narrante, al punto da sembrare un rifacimento del romanzo, stavolta raccontato direttamente dalla protagonista.
Ancora, a stretto giro di passaparola zia Mame (anzi Mame e basta) viene cooptata nel pantheon che più di ogni altro garantisce, a un personaggio, la sopravvivenza di lungo periodo, quello delle icone gay. Negli anni ’50 la cultura omosessuale lottava per uscire allo scoperto, quindi aveva un disperato bisogno di portavoce autorevoli: e per ragioni evidenti nessun candidato al ruolo appariva più idoneo di Mame e, o, delle sue interpreti (poi “dei suoi” interpreti) in scena.