Il titolo di questo articolo potrebbe tranquillamente essere “Chi la dura la vince” o “Non è mai troppo tardi” o “La speranza è l’ultima a morire”. Questo per dire che l’assegnazione della traduzione di questo romanzo di Olga Tokarczuk, per me è stata veramente un fuoriprogramma.
Ho conosciuto Olga Tokarczuk durante le lezioni di lettorato di lingua polacca. Era il 1999, da una decina d’anni la Polonia aveva riottenuto la sua indipendenza, non solo politica ma anche letteraria, e i giovani scrittori (e scrittrici) nati alla fine degli anni ’60 si ritrovavano faccia a faccia con una nuova realtà che descrivevano volentieri nelle loro prose e poesie.
Tra questi giovani autori c’era Olga Tokarczuk: ricordo che la professoressa ce la presentò come una scrittrice dalla lingua semplice ma dai contenuti molto profondi, secondo lei l’ideale per le esercitazioni di traduzione in aula. Effettivamente rimasi subito molto colpita dalla sua scrittura, che nonostante la difficoltà intrinseca della lingua polacca, riusciva a trasmettermi delle emozioni già ad una prima lettura.
Sapevo fin dai tempi degli studi universitari che avrei tentato di intraprendere la professione di traduttrice, e studiando il polacco e il russo ero anche consapevole del fatto che la mia strada sarebbe stata un po’ più in salita rispetto ai miei compagni di studi che avevano scelto lingue “più comuni”.
Negli anni, mentre io mi leggevo ogni nuovo libro della Tokarczuk (che nel frattempo riscuoteva sempre più successo in Polonia, tanto da essere considerata la scrittrice nazionale per eccellenza), qualche suo romanzo veniva tradotto anche in italiano, ma ancora con poca convinzione. Naturalmente ne ero contenta e non perdevo occasione per partecipare a quelle rare presentazioni che venivano organizzate (e che mi costavano molte ore di treno), eppure… ero sempre più convinta che si sarebbe meritata molta più attenzione da parte dell’editoria italiana.
A poco meno di vent’anni da quel nostro primo “incontro” si presenta l’occasione che aspettavo: come dico sempre scherzando, una serie di “congiunture astrali” mi hanno fatto trovare al posto giusto nel momento giusto per farmi assegnare la traduzione di Bieguni, che in italiano è diventato I vagabondi.
Quando parlo di “congiunture astrali” naturalmente scherzo. Nel 1999 avevo le idee già ben chiare su quello che avrei voluto fare da grande, quindi con un impegno immenso (e senza falsa modestia riconosco di essermi impegnata veramente tantissimo per un obiettivo che per alcuni sembrava irrealizzabile, tradurre per l’editoria dal polacco) negli anni ho accumulato tutta una serie di conoscenze e abilità professionali e stabilito una moltitudine di contatti nel settore editoriale. Il momento per concretizzare il tutto si è presentato a settembre del 2017: Olga Tokarczuk è nella shortlist del Man Booker International Prize (e questo lo sapevo), l’agente della scrittrice, con cui ero in contatto, mi invia una mail dicendomi che un’importante casa editrice italiana aveva acquistato i diritti proprio per quel romanzo con cui la Tokarczuk era in shortlist, e io avevo il contatto di chi si occupa della narrativa straniera di quell’importante casa editrice. Chissà se avranno già un traduttore dal polacco? Non resta che chiedere. Chiedo e oltre a comunicarmi che non ce l’hanno mi invitano a fare una prova. La prova piace e nei giorni successivi mi confermano l’assegnazione della traduzione. Mi è stato concesso tutto il tempo necessario per organizzarmi al meglio (si trattava comunque di quasi 400 pagine di romanzo) e nei sei mesi successivi ho avuto il mio incontro quotidiano con Bieguni, Olga e la traduzione dal polacco in italiano di un numero di pagine prestabilito. Ci tenevo tantissimo a dare una voce italiana a quel tono e a quello stile che conoscevo bene per le tante pagine lette negli anni. Mi sono organizzata in modo molto metodico (come è mio solito) per poter avere il tempo di rileggerlo tutto prima di iniziare a tradurlo, di tradurlo senza “abbuffarmi” giornate intere e non aprirlo in altre, di rileggerlo una volta terminato e di consegnarlo entro i termini richiesti.
Essendo un romanzo, o meglio una costellazione di storie, che parla del viaggio e dello spostarsi in tutte le sue accezioni, mi sono ritrovata molto nei concetti espressi dall’autrice. La sua lingua è sempre rimasta apparentemente semplice, ma questa semplicità ha un grande potere evocativo sia per le immagini che riesce a creare nella mente del lettore, sia per le emozioni che suscita.
Per me è stata un’esperienza molto importante dal punto di vista professionale: al termine degli studi universitari mi sono auto-assegnata la “missione” di far conoscere quanto più possibile la bella letteratura contemporanea polacca in Italia, e un modo per farlo è proprio attraverso la traduzione.