Tradurre Antoine Wauters è sempre una sfida, dato il funambolismo espressivo di questo enfant prodige della letteratura belga nato in provincia di Liegi nel 1981. Neologismi, giochi di parole, ossimori, belgicismi, polisemia e sinestesia sono la cifra della sua scrittura d’impronta orale che corre sul filo del contrasto. Se il libro precedente, Mahmoud o l’innalzamento delle acque (Neri Pozza 2023) – che lo ha consacrato come uno degli autori più talentuosi della letteratura francofona attuale e lo ha rivelato al pubblico italiano –, opponeva la dolcezza dei versi liberi di un vecchio poeta agli orrori della guerra in Siria, nel Museo delle contraddizioni un sentimento di rabbia feroce ispira dodici discorsi contro il sistema del mondo in cui viviamo. Un mondo in preda all’emergenza climatica, all’ingiustizia, al dominio dei potenti, alle vacue promesse di un presidente della Repubblica che “mente rassicurando e rassicura mentendo” – un ritratto neanche troppo velato di Emmanuel Macron, secondo alcuni. Questi dodici monologhi, premiati con il Goncourt de la Nouvelle nel 2023, formano un’opera polifonica dal tono politico ma con sprazzi di poesia. Sono voci di protesta che chiedono di essere ascoltate in un’epoca in cui il vortice della quotidianità sembra triturare il livello di attenzione verso il prossimo. Lasciare a ognuna di queste voci il proprio timbro è stata la difficoltà maggiore della traduzione, data la varietà del campionario umano proposto da Wauters: giovani dal corpo tatuato e traforato dai piercing, anziani in fuga da una casa di riposo, madri che rimpiangono di esserlo, agricoltori menomati dalle normative europee, ragazze emarginate e ribelli trasformate in giovani donne di successo perfettamente omologate. Personaggi accomunati dalla paura di vivere, dalla ricerca frenetica della luce, non solo metaforica, che incarnano l’incoerenza e la precarietà attuali: “salutisti il lunedì, alcolisti il resto della settimana” è una delle contraddizioni più flagranti di questo museo a cielo aperto animato da guide illustri come Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Ingeborg Bachmann, Silvia Plath, Roland Barthes, Giuseppe Verdi.
La mia guida personale è stata, come per Mahmoud, Antoine Wauters, che conosce a sufficienza l’italiano per indicarmi il termine che meglio restituisce il senso e il ritmo della sua scrittura tra quelli che gli prospetto.
Alla fine di ogni libro che traduco, quando il desiderio del commiato è pari alla sensazione di perdita, finisco sempre per portarmi dietro una parola o una frase come un cordone che tarda a recidersi. In questo caso, non poteva non essere una contraddizione: “l’oblio è una seconda memoria […], la finestra da cui torna tutto.”
Grazie di cuore, Antoine. E grazie a Neri Pozza, naturalmente.