Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima

Argomento: Romanzo
Autore: Antoine Volodine
Pubblicazione: 17 aprile 2017

Scritto alla fine degli anni Novanta, terzo e ultimo titolo a figurare nel catalogo Gallimard, questo peculiare romanzo in forma di saggio – ma si potrebbero invertire i termini e leggerlo come un saggio in forma di romanzo - è un testo cardine all’interno della vastissima produzione post-esotica. A metà strada tra il manifesto teorico e il racconto claustrofilico, Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima, è una sorta di codex volodiniano, che rappresenta un atto di fede e d’amore nei confronti di una letteratura di opposizione radicale. Il testo, liquido, che compone il corpo della vicenda romanzesca, circola e s’insinua tra gli spazi lasciati vuoti dalla sequenza silicea delle dieci ‘tavole della legge’ che codificano l’edificio post-esotico. Le definizioni di inedite forme letterarie come la shågga, il romånso, la nuvella, l’intrarcana, lo zaconto, il sussurrìo, insieme all’elogio delle strategie diversive, alla ripresa del Bardo Todhol, agli elenchi lacunosi dei libri e dei morti, s’intersecano al testo fluido, dando origine a un organismo vivo, ora duro ora molle, che il lettore abita con fatica, finendo per essere inghiottito nei miasmi di un carcere di massima sicurezza dove agonizzano gli ultimi scrittori ribelli.

Fin qui l’impalcatura. Ma nel libricino c’è naturalmente molto altro, a cominciare dal tono irresistibilmente ironico che avvolge l’intera teorizzazione para-accademica che mi sono divertita da matti a ricreare. Chiunque abbia frequentato corsi di narratologia o di comparatistica tra gli anni Ottanta e Novanta non potrà che sorridere, riconoscendovi echi di testi di Genette, di Todorov o di Greimas, genialmente reinventati (il “fileggio narrativo“, l’“apnea cronologica“, la “connivenza ciclica“, il bellissimo “fulcro invettivante“) accompagnati da rimandi continui alla controcultura degli anni Settanta, al cinema russo e francese, allo sterminato corpus della memoria collettiva del comunismo più o meno libertario che ho potuto captare lavorando a stretto giro di mail con l’Autore. La fantasmagoria citazionistica si concentra nel lungo elenco finale di ben 343 titoli, alcuni realmente pubblicati a nome di Volodine o di vari eteronimi, altri di pura fantasia, molti dei quali celano rimandi a titoli di film celebri (un esempio per tutti: Ciao maschio di Ferreri il cui titolo in Francia era Rêve de singe e che ho distorto in Ciao raschio) o a libri di successo (Moderato cannibale che riecheggia il Moderato cantabile di durassiana memoria, o L’ago, per Le lac di Echenoz, giocando sull’assonanza e sull’uso dell’apostrofo), o a slogan del Sessantotto (“Godere senza limiti” che qui diventa “Crepare senza limiti») o al buddismo (Grande scala per piccolo veicolo, Il vuoto per tutti in 49 lezioni, Un mattino di chiaraluce). Alcuni titoli sono poi magnificamente poetici e sono quelli che ho trovato più gusto a ricreare (Nave da nessun dove, Vani anni dopo, Teatro della disamina straziante, La Gran Nidiante, Rantolo finale e altri scarti di sogno). Ma torniamo allo strato romanzesco. Qui il topos è quello carcerario-inquisitorio - già inaugurato in Le port intérieur e successivamente ripreso in Scrittori, in Songes de Mevlido e finanche in Terminus radioso – con i vari leitmotiv dell’interrogatorio, dell’intercambiabilità dei testimoni, dell’ossessione claustrofilica, dell’onnipresenza delle spie, il tutto ambientato in un imprecisato paese tropicale (e il pensiero va naturalmente alla Macao metafisica di Port intérieur) trasudante umidità, lercio, scuro, irrespirabile. Il testo diventa allora una mistura molle, un impasto appiccicoso che si spande lentamente, senza interruzioni né paragrafi, né capitoli, come un fronte lavico che avanzi inesorabile, inglobando ogni cosa sul suo cammino. Le frasi sono lasciate a metà, interrotte dall’esposizione adamantina di una delle dieci regole post-esotiche che si ergono come monoliti neri in mezzo al fango, per poi riprendere qualche pagina dopo, inspessite, ingombre di rifiuti, di scampoli di sogni mal digeriti e di paure, trasportando, come nella risacca che segue a uno tsunami, le scorie, gli scarti, gli avanzi corrosi dei nostri pensieri e delle nostre vite.