Riccardin dal ciuffo

Argomento: Romanzo
Pubblicazione: 11 dicembre 2018


Riquet à la houppe di Amélie Nothomb è una fiaba. Ma non una fiaba come tante, è una riscrittura. Già come era successo qualche anno fa con Barbe bleue, Nothomb racconta una storia già raccontata, lavora su un materiale che fa parte di un corpus narrativo precedente, un “corpo”, quello delle fiabe di Perrault, che ha già abitato nei secoli le stanze letterarie del Meraviglioso occidentale. A questo corpo Nothomb ha dato un nuovo vestito, mantenendo intatte alcune tematiche del testo-fonte e variandone altre, allontanandosi per poi ritornare sui suoi passi per poi allontanarsi di nuovo, così come ogni gioco di riscrittura impone. Tutto il racconto mantiene sottotraccia la grazia di un conte de fées seicentesco e di questo ovviamente la traduzione ha dovuto tenere conto. La prima scelta che si è imposta riguarda infatti proprio il cuore di questo rapporto ambiguo tra la riscrittura nothombiana e la sua fonte: il titolo stesso del racconto - Riquet à la houppe – che è anche il nome del protagonista. Se per un pubblico francese l’evidenza del richiamo a Perrault è immediata, per il pubblico italiano Riquet à la houppe non significa niente. Insieme a Daniela di Sora ho quindi deciso di tradurre Riquet con il suo corrispondente italiano Riccardin dal ciuffo, e di conseguenza – per motivi di uniformità – tutti i nomi propri del testo sono stati tradotti. Apparentemente questa potrebbe sembrare un’operazione automatica, tradotto un nome si traducono tutti. Ma per quanto riguarda Nothomb, intervenire su un nome non è mai privo di conseguenze. In Nothomb, i nomi sono quasi sempre “parlanti”, raccontano, sussurrano sottotraccia cose che il personaggio a cui appartengono spesso e volentieri non sa neppure. Se in Barbe bleue di Perrault la giovane sposa non ha nome (mostrando così di fatto, con l’assenza di una denominazione precisa, la propria fragilità identitaria rispetto all’elemento maschile fortemente caratterizzato), nella riscrittura di Nothomb, la fanciulla appare fin dalle prime righe dotata di un nome e un cognome - Saturnine Puissant - ribaltando così, con la semplice dichiarazione di potenziamento espressa dal cognome e dall’assunzione di un dio maschile violento e umorale all’interno del nome, la propria parte in commedia rispetto a un maschile in questo caso fortemente depotenziato. Fin dalle prime righe del testo, solo leggendo il nome della protagonista, sappiamo quindi che sarà una fiaba a ruoli invertiti e che Barbablù avrà, in questo caso, parecchio filo da torcere. In Riccardin dal ciuffo la protagonista femminile, tanto bella quanto sciocca nella fiaba originale e tanto bella quanto silenziosa e contemplativa nella riscrittura nothombiana, si chiama Tremière. È stata chiamata così, ci racconta Nothomb, perché essendo figlia di Rose e Lierre (tradotto con Gelsomino dal momento che il corrispondente di Lierre, Edera, in italiano è femminile) doveva essere dunque una “rose qui grimpe”. Ora, la Rose Tremière in francese è il nome di un fiore che appartiene alla famiglie delle malvacee. La sua traduzione italiana è Alcea, o Malvarosa, o Malvone. Di fatto quindi non è una rosa, e non è neppure rampicante. Nella traduzione si è trattato quindi di scegliere o un corrispettivo che rispettasse la definizione del fiore che dà Nothomb (scegliendo quindi una varietà qualsiasi di rosa sarmentosa) o che mantenesse invece l’immagine del fiore in quanto tale (e che quindi fosse una malvarosa e non una rosa). Una delle varianti dell’Alcea è risultata essere Altea, nome che subito mi ha aperto un universo di assonanze perfetto per descrivere il personaggio che avevo tra le mani. Altea richiama Altera, caratteristica con cui spesso viene indentificata Tremière nel suo silenzio assorto. Altea poi è vicino ad Alterità, lo porta colei che è Altra, diversa da tutti, segnata dallo stigma della differenza rispetto a un mondo di uguali. Se Tremière doveva avere un nome italiano, mi sono detta, non avrebbe potuto che chiamarsi Altea. A questo punto sono intervenuta sul testo trasformando la frase di Nothomb e lasciando che Riccardin dal Ciuffo fosse accompagnato dalla bella Altea. Il mio intervento, di una certa invadenza dal momento che modifica non solo un nome proprio ma anche una frase del racconto, è stato fatto all’interno di una riflessione più generale sulla scrittura nothombiana e sulle sue modalità descrittive. In poche parole, mi sono concessa questa libertà dal testo in nome di una fedeltà più ampia all’autore. Se il suo nome e il suo cognome hanno salvato la vita a Saturnine Puissant ben più dei fratelli accorsi in aiuto della fanciulla di Perrault, l’alterità di Altea, il suo destino stesso iscritto in quel nome floreale, ha permesso di fatto il suo amore felice con Riccardin dal ciuffo.