Mordecai Richler ha raggiunto la notorietà in Italia con La versione di Barney, un romanzo che in breve tempo è diventato un caso letterario, aprendo la strada alla pubblicazione di vari altri libri di questo brillante scrittore canadese, purtroppo scomparso nel 2001. Del gruppo fanno parte tre libri per bambini che Richler scrisse negli anni '70 per suo figlio Jacob, ultimo di cinque fratelli e ultima ruota del carro casalingo, ma protagonista ed eroe delle storie raccontate dal papà. Si tratta quindi di storie nate in famiglia (la prima, Jacob la ricevette a sei anni come regalo di Natale) e arrivate solo in seguito al grande pubblico. I Richler compaiono sempre al completo in ogni avventura; Jacob Due-Due, il bambino che dice sempre tutto due volte perché la prima non lo sente mai nessuno, viene aiutato in qualche occasione dall'intrepida Shapiro, cioè la sorella Emma, e dall'impavido O'Toole, cioè il fratello Noah; qua e là fanno un'apparizione la maestra, una zia, il fruttivendolo del quartiere e altre figure più o meno intime della cerchia familiare. Il bello di queste storie è che non solo sono molto divertenti, scritte con grande umorismo e gusto linguistico, ma rivelano una conoscenza profonda e assai sensibile dei bambini e della loro psicologia e riescono a coinvolgerli e a emozionarli. Tradurre Jacob Due-Due e il dinosauro è stata un'occasione ghiotta per vari motivi. Non avevo tradotto granché per l'infanzia: giusto Jacob Due-Due contro Zanna Incappucciata, il primo episodio della serie, più due libri per una fascia d'età un po' più alta (dieci-dodici anni). Ma sono state tutte esperienze molto istruttive, perché i principi che ho seguito nella traduzione, specie di Jacob Due-Due, erano un po' diversi da quelli soliti. Innanzitutto, il testo mi lasciava spesso una libertà di inventare che con la letteratura "per adulti" non si ha: sono stata costretta a stravolgere la lingua, a trasformare l'espressione di un pensiero, a modificare testo e contesto culturale molto più di quanto non sia lecito fare di norma. Così ho imparato parecchio proprio sulle modalità di passaggio da una lingua a un'altra (meglio essere precisi: dall'inglese all'italiano) e in molte occasioni ho avuto l'impressione che nel linguaggio infantile sia situata la distanza massima tra due lingue e culture, che nel linguaggio degli adulti trovano invece maggiori punti di contatto. La necessità di stravolgere drasticamente il testo di partenza mette a nudo varie particolarità: i meccanismi interni di una lingua, le sue difficoltà caratteristiche, gli estremi a cui ci si può spingere in quanto traduttore, la propria inventiva, il gusto dei modi di dire, di certe parole difficili che si cominciano a imparare alle elementari… Tanto per dare un po' di concretezza a tutto questo discorso, farò qualche esempio a casaccio. In entrambi i libri, Jacob (che nel primo ha sei anni e nel secondo otto) scrive una lettera, facendo errori di ortografia; va da sé che questi errori bisogna adattarli all'italiano. E allora, cos'è che sbaglia a scrivere uno scolaro italiano di prima o seconda elementare? Soprattutto le parole con le doppie (come anche gli scolari anglofoni), ma anche quelle con chi o che, con gli o gni e così via. Divertentissimo (e sfibrante) è stato tradurre i nomi: ad esempio quello della maestra, Miss Sour Pickle, che in italiano è diventata la signorina De Acidis, o lo scienziato svitato, guerrafondaio e furbacchione Wacko Kilowatt, che è diventato Lampo di Genio, oppure il capo degli agenti intelligenti dell'esercito (ovverosia, dell'intelligence militare…), che da Bulldog Burke è diventato Brutus Bulldog. Nel libro vengono citate anche alcune vecchie canzoni che papà Mordecai e i suoi amici del coro amano cantare, famose da loro e sconosciute da noi, del genere Papaveri e papere o Pippo non lo sa; in un primo tempo avevo pensato di usare queste, ma poi mi sono sembrate troppo italiane e cercando una via di mezzo la scelta è caduta su Nella vecchia fattoria, Oh, Susanna e Siam tre piccoli porcellin, cioè vecchie canzoni nate in un paese anglofono o legate a quella tradizione, ma note anche qui. Al contrario, in un caso mi è parso più opportuno lasciare immutati alcuni riferimenti dell'originale: quello al poster di Robert Redford appeso nella stanza di Emma e quello ai dischi di David Bowie che ascoltava Noah, un po' perché erano dati di vita vera, un po' perché testimonianze dell'epoca e della cultura in cui ha visto la luce il racconto. Un'ultima annotazione: queste storie, così come sono nate in famiglia, sono state anche tradotte in famiglia, nel senso che le cavie sulle quali ho sperimentato l'efficacia della traduzione prima di consegnarla sono state i miei due figli (coetanei di Jacob Due-Due). È stato bello poterli divertire coinvolgendoli in una parte della mia vita che di solito vivo da sola. Come bello è stato sentire con quanto orgoglio hanno regalato ognuno alla sua piccola biblioteca di classe una copia del libro tradotto "da mamma". Sono (le) soddisfazioni di questo mestiere…