La versione tedesca dell'Isola dei gelsomini (che nell'edizione greca si intitola Mikrà Anghlìa, ovvero Piccola Inghilterra) è intitolata Le donne di Andros: titolo che riecheggia, forse senza volerlo, quello di una commedia di Menandro, e che esprime il senso del libro di Ioanna Karistiani. Il romanzo della scrittrice greca, infatti, è un testo corale in cui le protagoniste, come altrettanti Penelopi, vivono nell'attesa che i loro mariti, figli e fidanzati, marinai sulle navi mercantili che battono i porti di tutto il mondo, tornino a casa, nella loro isola (la "Piccola Inghilterra" del titolo), prima di rimettersi in viaggio verso nuove destinazioni. L'ottica del libro è tutta femminile, mentre degli uomini si avverte soprattutto l'assenza. Il traduttore, pertanto, dovrà prestare la sua voce e il suo stile a tutta una serie di personaggi femminili che, naufragate sulla terraferma, come amerebbe dire l'autrice, costituiscono un microcosmo isolato dall'immensità dell'elemento liquido. In questo senso, L'isola dei gelsomini è un romanzo che richiede un certo grado di identificazione del traduttore con i personaggi.
Coralità significa innanzitutto predominio dell'oralità, che è uno dei tratti più tipici della lingua greca moderna, così come di quella antica. Il carattere orale della lingua greca fa sentire i suoi effetti su vari livelli, mentre in letteratura l'oralità, a volte esasperata, costituisce un tratto d'unione tra la poesia e la prosa, e in quanto tale diventa strumento di elaborazione linguistica in numerosi autori.
L'isola dei gelsomini appartiene alla categoria dei romanzi il cui stile è fortemente influenzato dallo stile orale di comunicazione. L'eloquio quotidiano delle donne di Andros è fondamentale nel tessuto narrativo, e deve essere conservato, nei limiti del possibile, anche in italiano. Come? Anche l'italiano ha una tradizione letteraria basata sull'oralità: i libri di Verga, per esempio, con il discorso indiretto libero indicano una direzione verso la quale muoversi. L'oralità, nel libro della Karistiani, ha anche un effetto metaforico: le parole delle donne rinviano alla ruvidezza della loro vita solitaria, ma anche alla natura delle Cicladi, al vento, al mare e alla salsedine. Tale effetto è ottenuto mediante l'abolizione di molti elementi superflui e sfruttando il più possibile le caratteristiche del greco, lingua flessiva per eccellenza. Anche in questo caso la lezione dei veristi italiani è stata preziosa, oltre che il ricorso frequente all'immenso serbatoio linguistico costituito dai dialetti. Di questi ultimi ho sfruttato soprattutto la disinvoltura, l'assenza di complessi d'inferiorità (la stessa Karistiani è un'estimatrice della lingua del popolo), la capacità di assimilare gli elementi più disparati e renderli propri. Invece ho evitato, in linea di massima, il ricorso a elementi lessicali provenienti dai dialetti, anche quando le donne di Andros si esprimono con vocaboli che non appartengono al greco comune. In primo luogo perché, di fatto, in Grecia non esistono dialetti come li intendiamo in italiano; e in secondo luogo perché si sarebbe posto il problema della scelta: quale dialetto preferire e con quali motivazioni? L'italiano basta e avanza in una traduzione, a meno che non ci siano ragioni particolari a suggerire l'uso delle lingue locali.
Infine, la disinvoltura dei dialetti mi è servita anche per restituire l'elemento del turpiloquio, a cui le donne di Andros si abbandonano spesso e volentieri: è un modo per ingannare la solitudine, per illudersi di essere ancora vive sul piano della fisicità. Credo che anche in italiano passi al lettore l'ironia sottesa al parlare a volte sapido delle donne (e in particolare di una di loro, Murìs). In questo senso, tradurre questo libro mi è stato utile anche per riconciliarmi con un aspetto piuttosto trascurato, e calunniato, della mia lingua.