Nazarín

Argomento: Romanzo
Pubblicazione: 21 gennaio 2019

Romanzo scritto da Benito Pérez Galdós (1843-1920) nel 1895, Nazarín viene catalogato dalla critica galdosiana come appartenente al naturalismo spiritualista, una delle fasi dello scrittore spagnolo. Il titolo è preso dal nome del protagonista, un prete che concepisce il sacerdozio come applicazione integrale del messaggio evangelico. Abita in una zona malfamata di Madrid, e per la sua riconosciuta bontà si caccia nei guai, nascondendo in casa una prostituta, Ándara, macchiatasi di un delitto. Allontanato dalla Chiesa ufficiale, si spoglia dei suoi abiti da sacerdote, e intraprende, per le vie polverose della Mancia, un evangelico vagabondaggio, presto raggiunto da due apostole, la già citata Ándara e Beatriz, conquistate dalla figura del sacerdote.

Chi è Nazarín? Per alcuni un santo, per altri un pazzo, per altri ancora un impostore. Il nome del protagonista e i riferimenti evangelici presenti nel testo inducono a privilegiare l'ipotesi della sua santità; la Mancia e i riferimenti chisciotteschi fanno pensare invece a una vena di follia. Tra il nazareno e il cavaliere dalla triste figura, per definire un personaggio così inafferrabile converrebbe forse appoggiarsi al concetto paolino di folle sapienza. Anche la conversione di Ándara è alquanto misteriosa, e accade inspiegata, mentre Beatriz diventa seguace di Nazarín per liberarsi da una forma acuta di psiconevrosi. Detto così, Nazarín potrebbe apparire come un moderno guru, e per uno psichiatra sarebbe probabilmente un nevrotico, ma non è che gli psichiatri - come scrive provocatoriamente il colombiano Gómez Dávila - considerano sani solo i comportamenti prosaici?

Il romanzo soffre a tratti di qualche debolezza, qualche vuoto; in questi vuoti cadono spunti narrativi in grado di coinvolgere anche il lettore più scaltrito. A coinvolgerlo è Nazarín, quando chi legge ne assume inconsapevolmente il punto di vista e ne rimane affascinato, quasi come Ándara e Beatriz. In seguito, recuperata la distanza critica, egli si interroga sulla qualità letteraria del romanzo, che poi è un modo surrettizio per interrogarsi, come gli altri personaggi del romanzo, su Nazarín: santo, pazzo o impostore? Il lettore, incautamente, è caduto tra le pagine della storia che sta leggendo.

Nazarín attirò l'attenzione di Luis Buñuel che ne fece un film, girato in Messico nel 1957, mentre Tristana, scritto nel 1892, fu portato sugli schermi nel 1970. Non c'è dubbio che il regista spagnolo sia stato attratto dalla forte carica di ambiguità che emanano questi due personaggi galdosiani.

La traduzione ha presentato diversi problemi per la pluralità dei registri linguistici del romanzo; infatti, quando parla Nazarín o il narratore il linguaggio è formalizzato, quando parlano altri personaggi, invece, è rozzo e infestato di errori lessicali. Tra questi, ve ne sono di tipo geografico, come alcuni localismi castigliani, oppure gli andalusismi dei gitani; in tal caso, abbiamo preferito correggerli, normalizzando la lingua, per cui non ve n'è traccia nella versione italiana.

Avremmo potuto - tanti lo fanno - tradurli attraverso regionalismi italiani, ma non ci è sembrato opportuno far parlare i personaggi in romanesco o siciliano, perché sarebbe risultato straniante per il lettore, allontanandolo dall'atmosfera in cui è immerso il romanzo. Infatti, l'ambientazione vi gioca un ruolo importante: il sottoproletariato urbano di Madrid, che rinvia al romanzo picaresco, il mondo degli immigrati gitano-andalusi, il paesaggio della Mancia, con i già citati riferimenti chisciotteschi, costituiscono uno sfondo tematico che avremmo cancellato trasferendolo altrove.

Quando invece si trattava di errori lessicali più neutri, ossia dovuti a scarsa confidenza con la grammatica, li abbiamo tradotti, riproducendo errori più o meno equivalenti in italiano e cercando di sfuggire (ma, ahinoi, con scarso successo!) alla caratterizzazione locale di tali errori. È che in italiano, buona parte degli strafalcioni ha una targa regionale.