Se sento il bisogno di scrivere questa nota di traduzione, a conclusione del mio lavoro, non è per proporre chiarimenti in merito a difficoltà di resa o perdite, ma solo per raccontare al lettore e alla lettrice che hanno scelto questo testo, l’esperienza che ne ho fatto io, stando a contatto con esso per lunghi giorni, ripassandolo in testa, masticando e rimasticando le parole nei momenti in cui non lavoravo alla traduzione e in cui, semplicemente, stavo facendo altro.
Un mio caro amico tedesco di nome Markus mi raccontava, anni fa, della tradizionale gita di una settimana che, ogni anno, fa con un vecchio amico dell’università: un lago, canoa, tenda. Le loro giornate si ripetono ogni giorno allo stesso modo: sveglia presto, lunghe remate lungo il lago, rientro, preparazione della cena sul fornelletto da campeggio, cena, un sonno ristoratore nella tenda condivisa. Markus si soffermava a descrivere il piacere della condivisione di quel pasto frugale alla sera, il piacere del sonno che ristorava le membra stanche, la purezza dell’ambiente circostante, la semplicità delle azioni compiute e ripetute.
Ogni volta che traduco un testo che apprezzo, è quella stessa gita che compio: vivo per qualche tempo dentro un ambiente che considero puro e che contamino con la mia presenza, ma senza violarlo, senza sporcarlo; compio azioni ripetute che mi procurano grande piacere e grande fatica e infine mi riposo dentro quello stesso ambiente condividendo la tenda con l’autore.
Quando ho avuto in mano per la priva volta questo libro e l’ho letto, ho fatto due considerazioni: è un libro breve che si legge con gusto e scioltezza ed è un libro che ci tira dentro la filosofia del Novecento con un amo che è un ombrello rosso e che, se non pretende la conoscenza dello specialista in filosofia, verso il mondo della filosofia con baldanza ci spinge, ci spinge verso il gusto della dissertazione filosofica e del piacere del ragionamento.
Ho tentato di stare vicina a ogni singola parola del testo tedesco, di percepirla materialmente nella sua pregnanza, per poi tentare di trasportarla nella mia lingua italiana conservandone l’acutezza e la vividezza.
Thomas Hürlimann costruisce un testo stratificato in cui intreccia storia biografica del filosofo Nietzsche, vicende biografiche personali e citazioni da altri testi al fine di proporre un’elucubrazione ben concertata sull’esistenza, usando il linguaggio per mostrare.
Traducendo la lingua di questo autore, la fatica maggiore è stata quella spesa nella visione di ogni parola che scaturisce dall’ intenzione di mostrare attraverso il linguaggio: la lingua tedesca si presta al gioco della costruzione di parole con segmenti che in sé dicono anche altro e più della parola composta nella sua interezza.
Un esempio per tutti, a chiarimento e conclusione di questa mia nota, lo dà il gioco con la parola “Schweif”, la coda del gatto Mufti, e di quelle “Abschweifungen” che il gatto compie, che nell’italiano traduciamo – e qui, sì, perdendo qualcosa – con “digressioni” e nella lettura in lingua originale ci mostrano l’azione del gatto di tirare su la coda come un punto esclamativo, un segnale che indica l’intenzione di fermarsi, di prestare attenzione.
Il testo tedesco si compone di molti di questi “giochi” e intorno a essi ho trascorso le ore più lunghe per offrirne l’immagine migliore, più esatta e più viva, con onestà. Come sempre, tuttavia, Babele si è imposta con qualche rinuncia.
Ringrazio particolarmente i miei due più cari amici di lingua tedesca Frieda Jürgens e Markus Fritz che, benché lontani geograficamente, si sono messi in gioco insieme a me nei momenti in cui mi è capitato di scivolare nelle grinfie del dubbio e dell’indecisione.