Lady Ludlow apparve per la prima volta a puntate tra giugno e settembre del 1858 su Household Words, il periodico settimanale diretto da Charles Dickens a partire dal 1850. Non si tratta del primo contributo di Elizabeth Gaskell alla rivista: Dickens, infatti, profondamente colpito dalla lettura del suo primo romanzo, Mary Barton (1848), l’aveva già invitata a collaborare al periodico, su cui, sempre a puntate, furono pubblicati Cranford (1851-1853), Nord e Sud (1854-1855) e molti altri racconti. È proprio il dono del raccontare – unito a un’attenta ricerca di carattere storico-sociale, alla cura psicologica dei personaggi e alla minuzia nella descrizione degli ambienti e nella creazione dei dialoghi – che continua a esercitare il suo fascino nel lettore.
Lady Ludlow è un lungo racconto in cui la narratrice principale, Margaret Dawson, lascia spazio anche ad altre voci, che narrano, a loro volta, altri racconti. Margaret, ormai anziana, rievoca gli anni trascorsi nella casa di Lady Ludlow, ricorda le persone con cui ha condiviso brevi attimi o lunghi momenti e quelle le cui vite si sono intrecciate solo indirettamente con la sua, in un mondo in cui sono le donne le vere protagoniste. Donne determinate, forti, costrette ad arrangiarsi con i pochi mezzi di cui dispongono e tuttavia decise a non rinunciare al loro ruolo di benefattrici: sia Lady Ludlow che l’eccentrica Miss Galindo si prendono cura, infatti, delle figlie di altri, a costo di grandi rinunce personali. Donne risolute nel difendere le proprie idee – anche se bizzarre e legate ai pregiudizi – e comunque disponibili a crescere e imparare.
Nel tradurre Lady Ludlow mi sono trovata, com’è naturale, a operare scelte a vari livelli. La scelta principale dal punto di vista stilistico è stata quella di cercare di mantenere la fluidità del racconto. Ho preferito l’uso di frasi relative implicite in luogo di frasi relative esplicite proprio per non appesantire l’oralità della narrazione. Da un punto di vista più strettamente lessicale ho deciso di rendere in italiano la maggior parte dei termini francesi, soprattutto quelli non immediatamente riconoscibili, quali jets-d’eau (zampilli d’acqua), on-dits (pettegolezzi), petit-maître (damerino), concièrge (portinaia) e così via. Per contro, ho scelto di lasciare in lingua originale gli appellativi Madame, Mademoiselle e Monsieur per conservare lo scarto culturale tra il mondo inglese e quello francese, di cui a parlare è proprio Lady Ludlow che, mettendo insieme i fatti riportati da più testimoni e inserendoli coerentemente nella sua narrazione, riferisce del tragico destino di due giovani aristocratici nei terribili anni della Rivoluzione Francese. Il testo originale presenta altri francesismi che ho conservato o perché entrati a far parte del patrimonio lessicale italiano – mi riferisco ad esempio a pardon, grand tour, tête-à-tête e pot-pourri – o perché legati a un preciso contesto culturale – è il caso di chaperon; per la stessa ragione ho conservato gli anglicismi pancakes e porridge e, in tutti questi casi, ne ho dato spiegazione nelle note a piè di pagina. Riguardo agli appellativi inglesi, ho optato per un avvicinamento al lettore italiano scegliendo “signore” e “signora” al posto di Mr e Mrs, omettendoli peraltro laddove la prosa ne risultava appesantita. Lady, milady, Lord, milord e Sir sono rimasti invariati in quanto chiaro segno di appartenenza dei personaggi alla classe aristocratica. Per Miss Galindo, l’indaffarata zitella, dispotica e impicciona, ho scelto di tenere Miss, in quanto il monosillabo inglese, oltre a essere più efficace del quadrisillabo italiano, ha un significato ben preciso, “mancare”, e la mancanza ben caratterizza Miss Galindo, priva di tatto e buone maniere.
Traducendo mi sono trovata anche di fronte alla necessità di creare neologismi per termini quali dog-fox e beau-pot, che ho reso, rispettivamente con “volpone” e “belvaso”. Se è vero che dog-fox in inglese indica il maschio della volpe, è anche vero che il cocchiere che accompagna Margaret in carrozza a casa di Lady Ludlow usa questo termine all’interno di uno specifico gergo di caccia che Margaret non comprende. Beau-pot, invece, è una parola composta dal francese beau (bello) e dall’inglese pot (vaso) ed è molto probabilmente la versione errata di bough-pot (bough, ramo), vaso da fiori. Anche questo termine viene usato all’interno di un linguaggio “specifico” nella cerchia domestica di Lady Ludlow: “Un ‘belvaso’ (come lo chiamavamo noi) di garofani e rose appena raccolti e in piena fioritura veniva messo ogni mattina sul tavolo personale di milady.”
Un’ultima riflessione riguarda l’uso dei modi verbali: quando a parlare sono il cocchiere e Harry Gregson, il figlio del bracconiere e protetto del signor Horner – l’amministratore delle tenute di Lady Ludlow –, ho scelto di evitare il congiuntivo per rispecchiarne la bassa estrazione sociale.