Cosa significa essere neri oggi, negli Stati Uniti? È la domanda che Paul Beatty pone nel suo saggio travestito da romanzo, Lo schiavista, in cui affronta il tema razziale con le armi della satira. Beatty si chiede come mai, dopo otto anni di presidenza Obama, negli USA sia ancora “difficile parlare” di questo argomento.
Dai Minstrel show al politically correct, dal movimento per i diritti civili alla gentrificazione responsabile di cancellare intere comunità dalla mappa, lo sguardo senza compromessi di Beatty non risparmia niente e nessuno. Di fonte all’apparente fallimento dell’integrazione il suo protagonista, per restituire identità alla propria comunità, resuscita la segregazione razziale e la schiavitù.
Da queste pagine emerge una dimensione, reale e narrativa, in cui l’essere neri e l’essere bianchi non sono caratteristiche genetiche ma diventano un obiettivo da raggiungere, una questione politica.
Ecco allora lo scarto, la radicale alterità tra il mondo dello scrittore e quello del traduttore: se è vero che tradurre significa costruire ponti, in questo caso si è trattato di collegare due dimensioni, l’Italia e gli Stati Uniti; un uomo nero e una donna bianca; un quartiere semicentrale in una città relativamente tranquilla come Milano e un violento ghetto nero di Los Angeles. Dimensioni tanto lontane da sembrare quasi inconciliabili a livello geografico, culturale, esistenziale.
Per questo motivo – e nonostante avessi già tradotto Beatty con Slumberland nel 2010 – Lo schiavista è stato una sfida a più livelli: il ritmo, a volte frenetico della prosa; l’enorme varietà di registri; i rimandi, all’inglese vernacolare afroamericano; i fittissimi riferimenti alla controcultura USA, poco noti al lettore italiano; i numerosissimi giochi linguistici – p.es. la rivisitazione gangster rap di The Charge of the Light Brigade di Alfred, Lord Tennyson, o le espressioni idiomatiche del ghetto che il protagonista traduce in latino per dare un motto alla comunità nera – in questo caso ho dovuto individuare gli idiomatismi italiani equivalenti e tradurli a mia volta in latino.
Il compito era di trovare caso per caso il difficile equilibrio tra fedeltà e comprensibilità, tra letteralità e reinvenzione, di riuscire a trasmettere non solo il tono ma anche l’orizzonte culturale e l’immaginario del romanzo, e restituirlo al lettore senza snaturarlo.
Un esempio di questo fragile equilibrio sono i titoli di alcuni classici letterari modificati in chiave politically correct: se The Great Blacksby poteva diventare senza problemi Il grande Blacksby, per The Point Guard in the Rye (dove il catcher del baseball viene sostituito da un ruolo del basket, sport in cui la presenza dei neri è molto maggiore), Il giovane Blackden è una soluzione che privilegia immediatezza e familiarità all’orecchio del lettore italiano. Ci sono poi casi in cui lo scarto tra le lingue è irriducibile, come Of Rice and Yen, “un adattamento in chiave cinese” di Of Mice and Men corredato di citazione dal romanzo di Steinbeck e di una tirata del protagonista sul fatto che c’è ancora gente per cui la valuta cinese non è lo yen ma lo yuan. Qui l’unica soluzione non arbitraria e capace di evitare pesanti forzature del testo mi è sembrata l’aggiunta della temutissima nota del traduttore.
Prestare la propria voce a un altro, significa per molti versi diventare un altro. Calarsi in un altro mondo, vivere altre vite è un processo che avviene per gradi, e attraversa una serie di stadi, simili agli stadi dell’essere neri descritti dal protagonista verso la fine del romanzo, tra cui l’ultimo, il “Nero Assoluto”.
“Il Nero Assoluto è semplicemente fottersene alla grande. (...) È rendersi conto che non esistono assoluti, tranne quando esistono. È accettare che la contraddizione non è un peccato e un crimine ma una fragilità umana, come le doppie punte e il libertarianismo.
Il Nero Assoluto è capire che, anche se tutto è incasinato e privo di senso, a volte è il nichilismo a rendere la vita degna di essere vissuta.”
Questa era la scommessa: mettersi al servizio della voce del traduttore per far emergere e riprodurre in un’altra lingua il “Nero Assoluto” della sua prosa.