Chi ha amato la folle storia del bibliofilo omicida Johann Georg Tinius, ovvero Il mangialibri, o il romanzo kantiano L'enigma della cosa in sé può immaginare quali difficoltà abbia incontrato il traduttore del romanzo L'ultimo dandy.
Klaas Huizing è un teologo che si diverte a scrivere romanzi e gioca con le forme, i generi letterari, i fatti storici. In breve, con il vasto patrimonio culturale di cui siamo eredi. Ma sarebbe fuorviante evocare la tradizionale immagine del dotto chiuso nella sua torre d'avorio o del decadente intento a comporre calligrammi con i nobili cascami di una civiltà al tramonto. L'autore è convinto che nulla sia più avvincente del presente e che il passato sia avvincente solo se è possibile ricavarne modelli per l'arte di vivere nel presente.
Questa volta la rielaborazione del passato ha luogo in un aldilà moderno dove la riflessione, la creazione poetica e il godimento estetico non sono più soggetti agli angusti limiti del nostro spazio-tempo. Sulla spiaggia dell'oltremondo - dove, direbbe Dante, passeggiano gli spiriti magni - si incontrano Sören (Kierkegaard) e Thomas (Mann), spinti l'uno verso l'altro dalla comune passione per la raffinatezza. Il filosofo danese, dopo una vita trascorsa all'ombra di troppi pseudonimi, lavora a un romanzo autobiografico che faccia piazza pulita delle dicerie sul suo conto e lo scrittore tedesco si offre di aiutarlo. La trovata del dialogo maieutico consente di strutturare la narrazione, capitolo per capitolo, secondo uno schema rigorosamente tripartito: la cornice dialogica, il corpus con la storia di Sören narrata in terza persona e una passeggiata finale, scritta dal personaggio Kierkegaard prendendo a modello i Discorsi edificanti del suo doppio storico. È la finestra di cui Huizing si serve per affrontare in chiave critica e satirica una varietà di temi, dalla riforma dell'università alla crisi della famiglia, dal declino della scuola alle nuove forme del sentimento religioso.
L'ultimo dandy è un libro che ne presuppone molti altri. Nella fase di approccio il traduttore deve rispolverare vecchie letture e farne di nuove, per perdere il meno possibile (possibilmente, nulla) del bagaglio di citazioni, allusioni e riferimenti che Huizing mette in campo. È stato indispensabile il supporto della monumentale biografia kierkegaardiana di Joakim Garff, fonte primaria per il romanzo, di buone edizioni compatte delle opere del pensatore danese e di Mann, di una piccola biblioteca filosofica di base, dei motori di ricerca su internet. Solo una piccolissima parte di questo lavoro si è trasformata in note al servizio del lettore, se non restava altro mezzo per favorire la piena comprensione. Quando Thomas rivela che il suo sigaro preferito è il Maria Mancini, bisogna segnalare che lo fumava Hans Castorp nella Montagna incantata? Alla fine ho deciso di sì, a costo di penalizzare i più colti privandoli del piacere di fare scoperte.
Per quanto riguarda la traduzione, diciamo subito che nel caso di Huizing si deve sacrificare molto della ricchezza originale, decisamente più del solito, allo scopo irrinunciabile di produrre un testo italiano leggibile e scorrevole. Spesso l'autore piega il tedesco corrente ai limiti delle sue possibilità semantiche. Usa per esempio il verbo sozialisieren con l'accusativo (nazionalizzare, socializzare) nel senso di abbracciare, fare all'amore. Ama molto affastellare aggettivi e participi alla ricerca di effetti sonori e sinestetici non riproducibili nella nostra lingua. Un particolare impegno è necessario per rendere adeguatamente le satire che chiudono i capitoli, dove talvolta l'autore dà libero sfogo alla sua fantasia verbale: la forma e lo stile dei (migliori) corsivi giornalistici hanno guidato in questo caso le scelte del traduttore.
Il virtuosismo nel gioco di parole e nella metafora, una buona dose di autoironia, un robusto buonsenso salvano Huizing dal rischio di cadere nel puro sfoggio di dottrina e rendono il libro divertente. Tradurlo è stata un'avventura, mi auguro che leggerlo sia, come direbbe l'autore, una passeggiata.