Da sempre Michael Krüger ci ha abituato a raffinatissimi prodotti letterari, alla magia di atmosfere seduttive e avvolgenti dagli esiti imprevedibili. Anche in questa storia di un inganno testamentario siamo di fronte a un giallo psicologico: invitato dalla vedova del suo migliore amico, prestigioso intellettuale, professore universitario e famoso scrittore appena morto suicida, l’io narrante arriva a Torino con il compito di riordinarne il lascito letterario. Non irrilevanti personaggi di contorno: altre due vedove, la segretaria tutto fare e un ex amore di gioventù, sessanta scatoloni contenenti l’intero lascito, uno zoo di animali da cortile, allevati abusivamente sulla terrazza di casa, il fantasma di un improbabile opus magnum, ultima prestazione artistica del defunto.
Ma quali sono i rapporti che realmente legano le tre donne al famoso scrittore? Quale il contenuto del favoleggiato opus magnum, nascosto, pare, dentro gli scatoloni, in realtà contenenti soprattutto abbozzi, fogli sparsi, frammenti di citazioni, paginette di appunti, scontrini, biglietti d’auguri, cartoline, un opus magnum magari ancora incompleto, anzi, forse inesistente?
Nella rete sfuggente e ambigua dei rapporti incrociati ogni cosa può essere ciò che appare, così come il suo contrario: due corpi che casualmente si sfiorano in un corridoio, una segretaria invadente e aggressiva, tante, troppe citazioni mimetizzate qua e là nei capitoli del presunto capolavoro… quale verità si cela dietro apparenze a volte insignificanti, a volte fin troppo esplicite, a volte addirittura inquietanti? Ma soprattutto, quali rapporti legano l’io narrante, una personalità tutto sommato di secondo piano, all’amico di gioventù, brillante accademico, autore di bestseller e beniamino dei media?
Nei quattro giorni di tormentata disamina le carte dell’amico Rudolf rivelano un vecchio, incupito misantropo sepolto fra i libri e ancora tormentato da qualche residua tentazione erotica, livido verso un mondo accademico volgare e meschino, e sprezzante verso il cosiddetto milieu letterario dominato da mode e carrierismi. Le sue uniche passioni: un vecchio cane puzzolente e affezionato e lo zoo di animali esotici.
La ricostruzione della vita e della personalità di Rudolf è dunque un capolavoro di ambigua, sistematica demolizione dell’amico defunto, descritto ora come uno squallido opportunista e un frenetico arrampicatore sociale, ora come un disilluso critico dei tempi, in crisi di identità e di creatività. Sullo sfondo, memorie, fasi esistenziali comuni, due percorsi paralleli che si intersecano e si intrecciano in un gioco di specchi a riflessione multipla.
A poco a poco l’opaco, complessato curatore diventa dunque il reale protagonista della vicenda, un autentico deus ex machina che attraverso il compito assegnatogli ha in mano il futuro dell’opera dell’amico (trasferirla in Gemania per poi pubblicarla? Gettarla nel cestino? Manipolarla?). Rudolf e l’amico: due facce di una stessa personalità, uno alter ego, doppio, parte integrante e inscindibile dell’altro. I ruoli si scambiano, le storie interpersonali sono leggibili anche al contrario. La ricostruzione in apparenza lucida e meticolosa dei fatti e dei rapporti psicologici mai arriva a chiarirli realmente. E il finale resta infatti ambiguo, non risolto.
Con questo romanzo, secondo Claudio Magris il capolavoro di Michael Krüger, l’autore de/costruisce un giallo a più piani di lettura, insieme critica feroce del mondo accademico e letterario contemporaneo, spesso un’accozzaglia di dejà vu e di velleitarismi, intercambiabili pezzi di citazioni altrui, visto che la letteratura non ha più nulla di nuovo da dire.
La raffinata, divertente prosa dello stilista Krüger cimenta non poco il traduttore, impegnato a rendere con la stessa incisiva, ironica lievità non detti, allusioni, ammiccamenti, strizzate d’occhio, sottotesti, ambiguità e doppi sensi, uno stile narrativo che, proprio attraverso periodi complessi e molto articolati, spezzati da continui incisi e mutamenti di prospettiva, solo alla fine rivela il (doppio) senso profondo; spiazza il lettore obbligandolo a una accidentata ricostruzione logica e plausibile dei fatti, fino all’inaspettata pointe tragicomica, alla risatina agrodolce, magari a scoppio ritardato. Una fatica improba, un grande divertissement intellettuale.