Il libro Maria, cronaca di una vita, proposto in prima traduzione italiana, è la cronaca di una delle grandi tragedie che hanno colpito l’umanità nel XX secolo: l’Holodomar, la «morte per fame», provocata dalla carestia causata in Ucraina dalla dissennata politica del regime sovietico di Stalin negli anni 1932-1933.
Così Maria di Ulas Samchuk, testimonianza scritta sulle tracce del genocidio, dalle voci dei superstiti che erano riusciti a sopravvivere alla morsa della fame e della morte, è uno dei primi monumenti alle vittime innocenti. Il testo fu completato nel 1933 a Praga e pubblicato in seguito a Leopoli, ma è arrivato ai lettori ucraini solo dopo lunghi decenni, mentre ancora oggi, in molti paesi e culture, l’autore e il romanzo stesso sono totalmente sconosciuti per mancanza di traduzioni.
Ulas Samchuk (Derman, 1905 - Toronto, 1987), coetaneo e compatriota di Vasilij Grossman, è stato uno dei più rilevanti scrittori ucraini del XX secolo; appartiene alla tradizione letteraria della diaspora, avendo trascorso la maggior parte della sua vita lontano dal proprio Paese. Fervido nazionalista e cultore dell’identità ucraina, in quella lingua ha scritto, votandosi all’oblio; mentre Grossman ha scritto in russo, con migliore, seppure spesso ostacolata dal regime sovietico, diffusione. La sua biografia è una «vita in fuga», com’egli testimonia nell’autobiografia Le dodici e cinque. Appunti di corsa: «Ho visto gli zar, i re, gli imperatori, i presidenti, i dittatori, Mussolini, Hitler, Stalin, la fame del 1932-33, i campi di concentramento… e l’eterno esilio».
Formatosi a Praga, dove si laureò nel 1931, ebbe una solida conoscenza della letteratura tedesca, pur partecipando soprattutto alla vita culturale degli esuli ucraini; venuto a conoscenza della carestia e della moltiplicazione degli effetti, sotto la regia di Stalin, rientrò in patria, per averne testimonianza diretta. Nel 1942 a Rivne, capoluogo del Commissariato del Reich nell’Ucraina occidentale sotto il controllo tedesco, Ulas Samchuk insieme ai suoi sostenitori creò la rivista letteraria «Volyn’». In essa pubblicò alcune opere che erano proibite dal regime sovietico. All’inizio il potere nazista non prestò alcuna attenzione a quella piccola rivista letteraria, ma il 22 marzo, dopo la pubblicazione di un articolo di contenuto patriottico, Così è stato e così sarà, il giornale fu chiuso e Ulas Samchuk fu arrestato. Ogni aspetto identitario ucraino era egualmente inviso tanto ai sovietici quanto ai nazionalsocialisti, e in questo senso va intesa la sua collaborazione alla rivista «Volyn’».
Gli studiosi di Ulas Samchuk lo definiscono, non di rado, «un Omero ucraino», un cantore epico della sua terra e del suo popolo: se nella definizione c’è enfasi, certo al lettore italiano Samchuk apparirà uno scrittore che prolunga la scia verghiana dei «vinti», fedele a essi sin nelle coloriture del linguaggio e nel ritmo asciutto e saccadé del narrare. Maria è la biografia di una donna di villaggio che si spegne nella morte per fame: Holodomor, è il neologismo entrato nella lingua ucraina per definire questa tragedia. Il termine deriva da l nesso di parole moryty holodom che significa «infliggere la morte attraverso la fame». Samchuk terminò il suo romanzo a Praga nel 1933, proprio nell’anno in cui in Ucraina la carestia aveva raggiunto il suo apice.
Il racconto è suddiviso in tre sezioni: Il libro della nascita di Maria, Il libro dei giorni di Maria e Il libro del pane, un trittico che ricorda il rilkiano Libro d’ore, anch’esso ripartito nel Libro primo, della vita monastica, nel Libro secondo, del pellegrinaggio, nel Libro terzo, della povertà e della morte: «Signore, siamo più poveri delle povere bestie / che muoiono della loro morte…».
Quest’epica corale ha il proprio basso continuo nella vita del vita del villaggio; l’autore così lo conferma: «Appartengo a quelle persone che non si saziano mai della vita del villaggio. Appartengo a quelli che ovunque stiano – a Berlino, a Parigi, a Roma – si ricordano in un modo o nell’altro del proprio villaggio… Il villaggio, dove il cuore riposa». Il romanzo anche una grande enciclopedia del folklore contadino, dipinta a tratti vivi: le grandi feste collettive, osservate nella liturgia e nei piatti tradizionali della cucina ucraina, ebraica, russa, polacca, nei nomignoli con cui si evoca o si interdice l’altro: russi, ebrei, cosacchi; il lavoro quotidiano nei suoi arnesi più semplici, la maestosa natura, signora dell’universo.