Ho scoperto la narrativa di Paul Lynch nel 2020, quando mi è stato chiesto di tradurre Grace. Per documentarmi, prima di affrontare il testo, ho letto i due romanzi che l’avevano preceduto, come per prendere la rincorsa: l’energia accumulata familiarizzandomi con il linguaggio denso e duro dello scrittore irlandese è stata determinante per spiccare il salto e seguire l’autore nel suo coraggioso tuffo nella tragica epopea della carestia che alla fine degli anni ’40 del XIX secolo colpì l’Irlanda e ne segnò profondamente la coscienza collettiva.
Tra l’altro, la circostanza curiosa di tradurre un libro su una carestia del passato nel bel mezzo di una pandemia attuale mi pareva in linea con una delle novità che Lynch introduce in questo terzo libro della sua “trilogia”, inserendo tra il realismo crudo e la vena lirica un tono sarcastico, un black humour disincantato e irriverente, affidato soprattutto al personaggio di Colly, il fratello minore della protagonista, che tra l’altro interviene nel romanzo non tanto in carne e ossa quanto come fantasma interiore di Grace.
Quando mi è stato proposto di tradurre anche Beyond the Sea, all’inizio sono rimasto un po’ sconcertato nel trovarmi proiettato in una dimensione completamente nuova sia come ambientazione sia come tono. Del tutto assente, infatti, il contesto irlandese in questa vicenda d’alto mare nel cuore indistinto del Pacifico. Inoltre, nessuno dei due protagonisti sembra condividere lo spirito beffardo con cui Colly affronta la vita (e a cui mi ero affezionato): la vena ironica di Bolivar è del tutto diversa, mentre il giovane Hector sembra costituzionalmente incapace di distacco, nemmeno nella sua disincarnata veste, alla fine, di proiezione dei complessi di colpa di Bolivar. La delusione iniziale è stata però ben presto superata dai motivi di interesse che il romanzo presentava. Nel passaggio da un testo all’altro, la flessibilità richiesta da qualsiasi atto traduttivo costringe il traduttore ad aderire di buon grado a inedite circostanze e a nuovi linguaggi e toni, anche quando l’autore resta lo stesso.
Fatti i conti con le differenze, ho cercato di concentrarmi sulle specificità del linguaggio del nuovo testo e mi è sembrato di individuarle nella concentrazione realistica sui dettagli fisici per descrivere la vicenda. Questi dettagli si esplicitano in due ambiti principali: il microcosmo del piccolo peschereccio, la panga Camille, ovvero il palcoscenico galleggiante su cui si svilupperà il dramma del lungo naufragio fisico e spirituale dei protagonisti; e il contesto in cui la modesta imbarcazione si muove, l’oceano ora tempestoso, ora tranquillo, ora inesorabilmente vuoto, ora congestionato, ma sempre indifferente e collegato in linea retta alle imperscrutabili condizioni atmosferiche che ne determinano lo scatenarsi o il placarsi e le conseguenti circostanze che i due protagonisti si trovano a subire, con annesse azioni e reazioni. La resa fedele e puntuale di questi dettagli, perfino negli aspetti più crudi, mi è subito apparsa cruciale per mantenere l’attenzione del lettore nel corso del continuo avvicendarsi di tempeste e bonacce che si susseguono nel corso della lunga deriva che i protagonisti devono affrontare.
Le estremità delle condizioni e delle sfide che i protagonisti sono costretti a sostenere fanno emergere sì le differenze fondamentali tra i due, ma anche lo spirito di solidarietà che si sviluppa tra loro, nonostante le palesi incompatibilità caratteriali. Lynch è notevolmente abile nel registrare e descrivere queste contraddizioni e di conseguenza a mantenere vivo l’interesse del lettore lungo tutto l’arco della narrazione. E il traduttore deve stare assai attento a seguirlo lungo il frastagliato grafico linguistico che ne deriva, superando diverse difficoltà lessicali (i termini tecnici marinareschi, la nomenclatura zoologica e botanica dei dettagli che permettono ai naufraghi di sopravvivere nello sconfinato ma sorprendentemente affollato contesto dell’oceano).
Uno degli effetti più sorprendenti e ben graduati di questa maniacale concentrazione del narratore sull’universo fisico che circonda e determina i comportamenti dei protagonisti è l’emergere sempre più prepotente di un altro panorama che, nella seconda parte del romanzo, assume i tratti del profilo psicologico e interiore dei personaggi, determinando un netto aumento nella profondità di campo della loro rappresentazione complessiva. Dalle insicurezze e dalle paranoie di Hector ai complessi di colpa di Bolivar, il quadro si fa più drammatico e complicato. Anche in questo caso, compito del traduttore è sintonizzarsi su questa nuova frequenza espressiva per restituire i chiaroscuri più intimi della vicenda.
A livello strutturale, ecco riemergere alcune idiosincrasie di Lynch: il già ricordato ricorrere a prolungamenti estroflessi di personaggi morti (il fantasma di Hector che torna a tormentare Bolivar per stimolarne in qualche modo la catarsi) oppure il mettere in campo espedienti grafici, di evidente ispirazione sterniana, per rallentare il flusso narrativo e scandire ritmicamente i tempi di risoluzione della vicenda. Come in Grace le pagine nere sulle estreme conseguenze della fame che quasi riesce a cancellare la sua coscienza preludono alla rinascita della protagonista, qui il rarefarsi della scrittura e l’allungamento degli spazi tra le sezioni verso la fine puntano a sottolineare l’esaurimento delle energie di Bolivar e preannunciano l’epilogo dell’avventura.
Ancora una volta, la complessa e paradossale funzione di lettore attivo e di scrittore passivo del traduttore si impegna a mettere in campo tutte le sue facoltà interpretative del testo per poi trasferirle con una sottile ma cruciale torsione nell’integrale riscrittura di un testo altro nella lingua d’arrivo, confidando nella resa più aderente ed efficiente possibile delle energie espressive profuse dall’autore, in modo che il clone possa essere identificato, al massimo grado di approssimazione, con l’originale di partenza.