“Si fa strada in modo lento e agile. I suoi occhi di un azzurro cenerino incorniciati da ciglia nere brillano nella nebbia. Si avvicina e, quando mi raggiunge, mi prende la mano.
«Sono Milena da Praga» mi dice a bassa voce. E racconta la sua storia.»
È così che si presenta Milena all’autrice Monika Zgustovà, ed è così che si è presentata alla sottoscritta, che ha avuto il piacere e l’onore di trascorrere del tempo in compagnia di una donna affascinante, complessa, intellettualmente e umanamente coinvolgente. Una donna da sempre nota come “l’amica di Kafka” (quante volte si sente dire di una donna che è “la moglie di”, “l’amica di”, “la figlia di”?), ma che nella vita ha fatto e vissuto ben altro al di là di Kafka che è di certo stato un uomo e un intellettuale per lei molto importante. Limitare Milena a Kafka è – proprio come negare l’importanza di Kafka per lei – un’ingiustizia rivolta alla sua avventurosa vita, alla sua fervida mente, alla sua lotta continua alla ricerca di un riconoscimento nei duri tempi in cui le toccò vivere.
Il romanzo, raccontato in prima persona, crea vicinanza, familiarità, riduce la distanza temporale e aumenta la sensazione di conoscenza della protagonista di questo testo così poetico e completo. Un testo la cui traduzione non ha presentato particolari problemi a livello linguistico considerato lo stile fluido e preciso di Monika Zgustovà che cesella ogni parola evitando inutili eccessi di aggettivi o complessi giri linguistici. Di certo quella che non è mancata è stata la ricerca dei testi e delle citazioni, alcune visibili, altre nascoste.
Ho tradotto Sono Milena da Praga in un momento molto particolare della mia vita, l’ho fatto mentre ero accanto a un’altra grande donna che appartiene alla mia sfera personale e, come spesso mi capita con il mio lavoro, la vita privata e quella lavorativa si mischiano in una misteriosa magia compiuta dalla letteratura. Sì, perché il romanzo di Monika Zgustovà è letteratura vera a propria, è stata per me (che ho una formazione classica) un modo di tornare alle origini, di potermi immergere nella lettura di grandi classici, andare in biblioteca a spulciare tra i testi, trovare citazioni e sentirmi catapultata in quella realtà in cui ha vissuto Milena arricchendomi con la lettura di testi paralleli. Ed è proprio questo l’aspetto che più amo del mio lavoro: la ricerca, la scoperta, l’arricchimento.
Mentre traducevo la storia di Milena ho riletto Kafka, ho cercato fotografie storiche dei caffè viennesi, ho assaporato i testi in cui sono state raccolte le riflessioni di Milena e i suoi articoli. Mi sono fatta invadere dalla forza di una donna che ha saputo crearsi uno spazio in un universo dominato dagli uomini sia a livello personale che professionale, di una donna che si è creata la sua indipendenza in tempi in cui era la dipendenza a farla da padrone; una donna che non si è fatta schiacciare nemmeno dalla più temibile delle esperienze, quella del lager di Ravensbruck ma che anche lì, quando non le restava nulla, ha saputo afferrarsi con forza alla vita, alla progettualità, ai valori civili e umani.
Una donna che è stata un insegnamento, proprio come quella che avevo accanto a me mentre traducevo da una lingua a me famigliare e tanto amata – il catalano – a una lingua con cui ho a che fare quotidianamente.
Il tutto per restituire un’immagine di Milena Jesenskà poliedrica, come poliedrici sono tutti gli esseri umani: non Milena l’amica di Kafka, o meglio non solo, ma Milena la donna, la figlia, la madre, la giornalista, la traduttrice, la prigioniera… Milena e le sue debolezze, Milena e i suoi punti di forza, la sua tenacia, il suo coraggio.
E leggere Sono Milena da Praga è sì leggere di una donna, ma al tempo stesso è anche leggere di una collettività e di un’epoca storica. È avere a disposizione tante piccole tessere che vanno a formare un puzzle su un periodo storico analizzato da diversi punti di vista: umano, intellettuale, sociale, culturale, storico. E personalmente trovo geniale questo modo di procedere dell’autrice che, partendo da una figura femminile in parte messa in ombra – l’ombra di un uomo – dalla storia (cosa che ha tra l’altro, nella sua carriera letteraria, ha fatto anche con altri personaggi), riesce a dare spunti che dal particolare vanno verso il generale, che ci mostrano un granello di sabbia per permetterci di affacciarci a una distesa ben più ampia. E mi chiedo: non è forse questo il più alto compito della letteratura? Credo di sì.