La traduzione di questo saggio, molto interessante, benché molto impegnativa, ha comportato alcune difficoltà. La principale riguarda le numerose parti in francese antico, che ho cercato di tradurre nel miglior modo possibile, avvalendomi, oltre che dell'orecchio e del buon senso, di un vastissimo dizionario francese antico-tedesco, che mi ha permesso di risolvere i problemi legati alla comprensione dei termini, e di altri testi e manuali specifici che mi hanno aiutata a capire le particolarità morfologiche e sintattiche della lingua d'oil, e di risolvere i dubbi di sintassi di una lingua che è assai più lontana dal francese moderno di quanto non lo sia il "nostro" italiano da quello di Dante. Fortunatamente, i brani riportati da Jean Verdon non sono certo opera di illustri letterati. Si tratta di un francese medievale pieno di risonanze dialettali e la prosa non è delle più chiare. La forma presenta quindi frequenti passaggi dalla prima alla terza persona o dal discorso diretto a quello indiretto, per non parlare della punteggiatura. Ma lo scopo di questo saggio non è di tipo filologico bensì divulgativo, di conseguenza ho cercato, per quanto possibile, di rimanere fedele al testo.
Va precisato che molti brani sono in rima e ho dovuto spesso rinunciare a una traduzione in rima, accontentandomi di riportare fedelmente il testo.
Inoltre, la traduzione di termini tecnici relativi ai capitoli della caccia e pesca, delle feste, in particolare la parte culinaria e dei giochi, ha dato luogo a non poche difficoltà. Anche qui l'autore ha spesso usato termini in francese antico legati comunque al periodo medievale che ho cercato di spiegare con note a piè di pagina.
Cito alcuni esempi:
(…) Alla fine del Medioevo, il primo gennaio ci si traveste sempre; si gioca, si balla, si beve. Ma la tradizione principale è la "questua dell'aguilaneuf1". E ovviamente si formulano auguri per il nuovo anno
(…)
Dall'espressione "Au gui l'an neuf!", letteralmente: "al vischio l'anno nuovo!". Nel Medioevo i bambini poveri, a Capodanno, andavano a bussare alle porte dei ricchi per chiedere la carità, e ripetevano questa frase come augurio di Buon Anno (N.d.T.)
(…) La festa dei re è molto apprezzata. Ha vari nomi, quali l'apparizione di Nostro Signore, o Épihania, da cui deriva Epifania, o Théophania da cui deriva Tiphaine, nome popolare, frequente nei documenti della fine del Medioevo. Un divertimento rituale è il momon, una sorta di "indovina indovinello": i giocatori nascondono un oggetto che il padrone di casa deve trovare; la partita termina ovviamente con qualche bicchiere di vino. (…)
(…) Un tipo di gioco di dadi prende il nome di rafle o poulain(1). Di solito si gioca con tre dadi, è molto apprezzato nelle campagne, e il vincitore riceve generalmente un oggetto in natura.
Il gioco è occasione di frequenti imbrogli. Barare è una specialità soprattutto dei coquillards(2) che appaiono verso la fine della guerra dei Cent'anni e che rappresentano ciò che resta della banda degli Ecorcheurs. Nel loro gergo nominano tipi di giocatori pericolosi: il beffleur (bleffatore), che fa giocare gli ingenui, il desbochilleur, colui che vince a dadi, a carte e a tria, spennando la gente, il pipeur (baro), che gioca con dei dadi truccati o di forte cire (a cera dura). I dadi sono chiamati arques, ma hanno anche altri nomi: madame (madama), vallée (valle), gourt (altura), muiche (spia), bouton (bottone), riche (ricco); fustiller i dadi, indica l'operazione che consiste nel truccarli.
Villon, nelle sue ballate argotiche, ricorda quei gentili compagni, i saupiquets, "drittoni", che giocano con i gours arques, cioè con dadi truccati. (…)
(1)Gioco di dadi in cui, con un sol colpo, si possono vincere tutte le poste. Viene chiamato anche "poulain" o "poutrain", in latino "poledrus". Dalle ricerche fatte, potrebbe corrispondere alla "pariglia", che nel gioco dei dadi indica la combinazione formata dai medesimi numeri nell'uno e nell'altro dado, ma nel testo si parla di un gioco con tre dadi (N.d.T.). (2)da "coquille" = "conquiglia": brigante che portava al collo una conchiglia come i pellegrini di Compostela (N.d.T.).
Interessanti sono i tentativi di traduzione in rima dal francese antico, in questo caso, credo, abbastanza riusciti:
(…) Tuttavia, la caccia con i cani sembra riservata esclusivamente agli uomini. Se una gran dama vuole conservare la sua reputazione, scrive Gace de la Buigne, non è opportuno che cavalchi attraverso i boschi per andare a uccidere cervi o cinghiali. La falconeria, invece, rappresenta una distrazione molto adatta alle dame.
Ché regine e principesse,
duchesse
e contesse
e le altre donne
belle
maritate e donzelle,
possono, se piace al loro signore,
lo sparviero portare per onore
e provarne il diletto
come sopra detto,
senza alcuna occasione dare
a Malalingua di sparlare.
(GACE DE LA BUIGNE, Le Roman des deduis)
(…)
La taverna ha molte attrattive. Si può mangiare. Si fa ogni sorta di transazione; si regolano i conti. Un frequentatore abituale di questi luoghi ne enumera le comodità.
Avete fame? Qui mangerete;
avete sete? Qui berrete;
fa freddo? Vi scalderete;
fa caldo? Vi rinfrescherete.
Nelle taverne, per farla breve, da bere
e da mangiare potrete trovare,
Pane, vino, fuoco e buon riposo,
di bottiglie e di vasi suon rumoroso,
Di tazze d'argento e stoviglie udir potrete;
e all'uscita, barcollerete,
e talvolta così tanto gioiranno
che dagli occhi lacrime scenderanno
più grosse di semi di pere:
ma, in fondo, non è che per il vino da bere!
(
Recueil général et complet des fabliaux des XIIIe et XIVe siècles, a cura di Montaiglon e Raynaud)
Questo per quanto riguarda l'aspetto tecnico della traduzione.
Ma veniamo all'originalità dell'argomento trattato da Jean Verdon, professore emerito di Storia medievale all'Università di Limoges, e autore di numerosi studi dedicati agli aspetti sociali dell'uomo medievale.
Come occupavano il loro tempo libero gli uomini del Medioevo? Partiamo dal presupposto che il concetto di "tempo libero" come lo intendiamo noi esiste a partire dalla metà del Novecento, mentre nei secoli medievali gli svaghi sono parte integrante del lavoro. Infatti, nel Medioevo, soprattutto per gli uomini di condizione modesta, contadini e artigiani, e in un certo senso anche per i borghesi, bisogna parlare di "civiltà del lavoro" piuttosto che di "civiltà degli svaghi". Le vacanze vere e proprie, praticamente non esistono, tranne che per le università e i tribunali.
Ciò non toglie che anche l'uomo medievale si concedeva alcuni svaghi, ma essendo a più stretto contatto con la natura, dava più spazio ai piaceri del corpo che a quelli dello spirito, riservati a un'élite colta.
L'esistenza seguiva il ritmo delle stagioni, per cui d'inverno l'attività era limitata; il ritorno della primavera veniva accolto con esultanza. Ci si dedicava alle passeggiate e alla cura dei giardini.
Il popolo approfittava delle feste liturgiche per svagarsi: ricordiamo il "ciclo di dodici giorni", tra fine dicembre e inizio gennaio; le "feste dei folli", che hanno origine negli ambienti ecclesiastici ma ben presto si riversano sulle strade e diventano una vera e propria contestazione che attacca l'ordinamento sociale prestabilito; il "ciclo Carnevale-Quaresima" e quello della Settimana Santa e di Pasqua; il "ciclo di maggio", in occasione del quale i ragazzi donano alle fanciulle dei rami di maggio; il "ciclo Pentecoste-Natale" e poi tutti i festeggiamenti legati a nozze, battesimi e funerali.
Ma una delle occupazioni preferite nel Medioevo era rappresentata dalla caccia con i cani o con il falcone. I nobili andavano a caccia per diletto e per sport, mentre per i poveri era una necessità. Questi ultimi si dedicavano anche alla pesca, che oltre al principale scopo utilitaristico, rappresentava anche un divertimento.
Nobili e aristocratici si dedicavano ai piaceri del corpo. Venivano organizzati sontuosi banchetti che duravano vari giorni, in occasione di matrimoni, vittorie militari o tornei, in cui si sfoggiavano vesti lussuose e venivano preparati pasti abbondanti. Si trascorreva molto tempo nelle taverne, alle terme pubbliche o private, che rappresentavano un luogo di piacere ricercato, in compagnia di ragazze di piacere.
Tutti gli altri, contadini, borghesi e artigiani si divertivano facendo giochi di società, o giocando a dama e scacchi, a dadi, o facendo giochi di gruppi quali la soule, antenata del nostro calcio spesso disputata fra squadre di villaggi vicini o fra scapoli e ammogliati.
Grande spazio avevano anche gli spettacoli di strada, con le varie attività dei giullari che rallegravano le vie e le piazze della città e dei villaggi. Ricordiamo le rappresentazioni teatrali, spesso basate sui misteri della fede, caratterizzate dai quadri viventi, con scenografie allestite su carri che sfilavano davanti allo spettatore immobile o con scene multiple, simultanee, affiancate l'una all'altra, per cui gli attori passavano rapidamente da una scena all'altra sviluppando più azioni contemporanee.
Dai piaceri del corpo si passa a quelli dello spirito, riservati a nobili ed ecclesiastici, che si dedicavano alla lettura, all'arte e alla musica.
In questo saggio l'Autore riesce a dare al lettore un'immagine chiarissima del rapporto tra cultura popolare e cultura dotta, e non tralascia nulla, trattando con uno spiccato spirito narrativo, gli aspetti più sconosciuti e curiosi della vita degli uomini di un tempo che forse non ci appare più così oscuro!