Traduzione da: Letteratura nederlandese
Kader Abdolah è uno scrittore in nuce quando, nel 1988, lascia la Persia, dopo aver combattuto in un movimento di lotta clandestino contro il regime dello scià prima e quello degli ayatollah poi. Diventerà compiutamente tale solo dopo essere approdato, come rifugiato politico, nei Paesi Bassi e aver appreso il nederlandese, la lingua che in seguito ha adottato come "seconda patria", l'unica in cui, come ha dichiarato in più occasioni, sente di potersi esprimere liberamente. È un nederlandese molto semplice, spesso approssimativo, il cui apprendimento è frutto, senza dubbio, di un accanito "corpo a corpo", quello in cui Abdolah scrive le sue due prime raccolte di racconti e il suo primo romanzo, Il viaggio delle bottiglie vuote (Iperborea, 2001): una lingua decisamente "povera", se pensiamo al modesto patrimonio lessicale di cui dispone e alla sua sintassi elementare, e una lingua senz'altro sofferta e intrisa di sofferenza. Eppure, sfruttando l'estrema duttilità del nederlandese - assai più produttivo dell'italiano, e ben più aperto alle contaminazioni - ma anche la sua concretezza e la sua plasticità, riesce non solo a trasfondervi le sue tensioni intellettuali ed emotive di scrittore esule e di uomo in fuga, ma anche a trovare nel nuovo idioma un mezzo assai ricettivo rispetto all'icasticità poetica che mutua dalla tradizione letteraria persiana.
Dall'insieme di questi brevi accenni si intuisce come, in veste di traduttrice, abbia avuto uno spazio di manovra molto stretto, in cui, consapevole dell'estrema difficoltà di rendere l'effetto estraniante che le manipolazioni linguistiche di Abdolah producono sul lettore nederlanfono, ho dovuto cercare di rendere la sua prosa in un linguaggio altrettanto spoglio, caratterizzato da un'analoga essenzialità lessicale e dal rispetto della scarna struttura paratattica, sforzandomi di non arretrare davanti alle numerosissime ripetizioni - ma anzi riconoscendo in esse una dominante del testo - e osando, come l'autore, accostamenti insoliti, faticose approssimazioni, ben sapendo che, non di rado, avrebbero reso ostica la lettura. Se ciò è stato in qualche misura possibile, è anche grazie allo sguardo attento e sensibile dell'Editore, fondamentale interfaccia del traduttore, all'indispensabile rapporto con l'autore e i suoi scritti, e al confronto con Joan van der Linden, mia abituale consulente oltre che amica madrelingua nederlandese, che mi ha aiutato a identificare la tipologia delle devianze della scrittura di Kader Abdolah rispetto al nederlandese standard.
Un approccio analogo a quello appena descritto, e il più possibile attento a quei vocaboli concettuali che danno coesione all'opera di un autore, mi ha accompagnato anche nell'affrontare i testi successivi di Abdolah, in particolare il suo secondo romanzo, Scrittura Cuneiforme (Iperborea, 2003). Ma quando mi sono trovata a tradurre Calila e Dimna (Iperborea, 2005), solo in parte frutto di invenzione, ho dovuto fare i conti con altre implicazioni. Qui, infatti, Abdolah rielabora, pur sempre nell'originalità del suo stile, una raccolta di antichi racconti sapienziali, concepiti per "divertire e ammaestrare" i futuri principi. Originari dell'India, da dove "un astuto visir" li aveva "contrabbandati in Persia", tradotti in arabo dopo la conquista islamica del Paese, resi di nuovo in persiano, poi in ebraico e quindi in latino, questi apologhi, che hanno per protagonisti alcuni animali - tra cui i due sciacalli citati nel titolo - avevano già raggiunto l'Italia verso la metà del Duecento e quindi, attraverso altre traduzioni, la Spagna, la Germania e l'Olanda, lasciando chiare tracce nelle letterature d'Europa. Un aspetto curioso evidenziato da Abdolah è la libertà concessa al primo traduttore persiano, e in seguito al suo collega arabo e al secondo traduttore persiano, di riscrivere i testi, seppur con l'impegno di mantenerne intatto lo spirito. Anche Kader accorda a sé stesso questa prerogativa, cosa che gli consente di rielaborare queste favole non solo modificandone in parte la trama, ma imprimendovi il marchio della sua personalissima scrittura. A me, invece, come traduttrice, erano richieste soprattutto due cose: individuare e rendere in italiano le marche stilistiche di Abdolah, che in quest'opera riproduce, più ancora che nelle precedenti, gli stilemi della tradizione letteraria persiana; documentarmi a fondo sul testo. Fortuna ha voluto che alcuni anni fa fosse apparsa la traduzione italiana della stessa edizione araba del Libro di Calila e Dimna, a cui Abdolah dichiara di rifarsi. Lo studio di questo volume non solo si è rivelato assai utile per approfondire la conoscenza della storia e del significato di questi racconti, ma mi ha permesso un interessante raffronto tra modalità narrative, scelte iconografiche, lessicali, sintattiche e così via. Altrettanto importante, peraltro, si sono rivelati la consulenza di una studiosa di letteratura persiana, la rilettura delle Mille e una notte, l'esempio a noi più noto di "racconti a cornice" - tali sono anche quelli del Calila e Dimna - e lo stretto contatto con l'autore, grazie al quale ho potuto preservare alcuni elementi persiani che, altrimenti, sarebbero potuti andare perduti; ricordo, a tale proposito, che la lepre, protagonista di alcuni racconti nella versione araba - ma anche di favole e apologhi con i quali il lettore italiano ha consuetudine - si trasformava, nella resa di Abdolah, in un coniglio: come mai? Una svista dell'autore, una scelta consapevole? Naturalmente si trattava di questa seconda ipotesi: in Persia, o almeno dalla zona da cui provengo, non esistono lepri, mi ha spiegato Abdolah, ma solo conigli, e nei racconti tratti dal Libro di Calila e Dimna che mi venivano raccontati da piccolo il protagonista era sempre un coniglio. D'altra parte, anche Shatrabé, uno dei personaggi del racconto principale si era già trasformato, nella sua opera di riscrittura, da toro in mucca: un chiaro omaggio di Kader Abdolah alla terra d'Olanda che lo ospita, elemento simbolo di quel paesaggio piatto che fa da sfondo a tante sue pagine, in stridente contrasto con il ricordo delle fiere montagne della sua madrepatria. Perché, anche se in Calila e Dimna Abdolah volge più che mai lo sguardo alla sua terra d'origine, non possiamo dimenticare che resta, in primo luogo, uno scrittore a cavallo di due Paesi e di due culture.
Elisabetta Svaluto Moreolo