Traduzione da: spagnolo (Santo Domingo) - di Vittoria Martinetto
Articolo di Davide Rubini
Il mondo di una ragazza chiuso in una scatola, quella della clinica di suo zio veterinario in un angolo di Santo Domingo, una scatola da cui partono pochi fili che la legano ad altri angoli della città, che restano intimi, privati. Si arriva fino alla fine del romanzo senza sapere come si chiami questa ragazza, proprio come succede ai gatti che suggeriscono il titolo di questa storia a metà tra il sogno e il delirio, una storia che potrebbe essere raccontata bene solo accettando che le parole altro non siano che colori da combinare in arcobaleni dalle sequenze cromatiche improbabili. Verde, rosso, indaco, giallo, violetto, arancione, blu invece del consueto rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, violetto. Non è possibile decidere cosa capire delle pagine di questo libro. I suoi significati si impongono al di fuori di una logica necessaria e probabilmente leggerlo tre quattro volte porterebbe a scoprire un senso ogni volta diverso perché questo è prima di tutto un romanzo caleidoscopico.
Nel romanzo I gatti non hanno nome i personaggi vengono introdotti con la leggerezza di un pettegolezzo non malizioso. Dopo appena poche pagine il lettore ha l’impressione di conoscere da sempre tutta l’allegra famiglia, compreso il gatto senza nome, della protagonista. La prossimità senza filtro con Zia Celia e con Zio Fin, con l’haitiano Radames e con l’amica del cuore Vita consente di cogliere al volo il significato delle sequenze che si svolgono sotto i loro occhi, come se delle loro vite si sia sempre fatto parte. Quella di Rita Indiana è una scrittura essenziale che non ha tempo per le lunghe riflessioni o le larghe descrizioni. È una scrittura che non si concentra sui dettagli che convenzionalmente ad una storia attribuiscono il senso principale, ma si alimenta di pennellate puntiniste à la Félix Fénéon.
In questa cornice una ragazza scivola dolcemente nella sua follia e finisce per accettarla come un fatto inevitabile, dettato da un destino che la costringe ad essere diversa, prima di tutto dalle altre ragazze di Santo Domingo. La protagonista si avvicina alla propria sessualità a scatti, che la sorprendono quando meno lei se lo aspetta, come fossero i movimenti imprevedibili di un felino. Non è lei a decidere cosa accade nelle sue giornate, ma piuttosto la vita che le succede intorno che di tanto in tanto si affaccia nella clinica di Zio Fin per strapparla ad una noia altrimenti troppo comoda. Tutto intorno ci sono i colori e sapori di Santo Domingo, le sue piccole case colorate e rotte come la dentatura di una povera vecchia che chiede l’elemosina all’angolo di una strada senza rendersi conto che la sua bellezza ormai sfiorita è ancora visibile ad un osservatore attento.
Nella traduzione elegante e fedele di Vittoria Martinetto I gatti non hanno nome offre al lettore un’esperienza che difficilmente si incontra nel panorama letterario europeo o nordamericano. A questo lettore si consiglia di leggere il romanzo nel più breve tempo possibile per abbandonarsi compiutamente alle atmosfere che la sua autrice è capace di confezionare. Questo libro è una pillola di Caraibi in grado di sciogliere la realtà e farci precipitare in un paradiso disordinato e sconclusionato quanto dolce e sensuale.