Traduzione da: Letteratura russa - Traduzione di Anna Raffetto
La dimensione cosmica, tuttavia, rappresenta il confine ultimo nel processo creativo che caratterizza le Poesie di Natale.
In effetti esiste una cesura tra la prima e la seconda parte della raccolta, e questa svolta è rappresentata dal poemetto Laguna, scritto nel 1973, quindi a un solo anno di distanza dall'inizio dell'involontario esilio.
Le prime poesie prendono spunto dalle feste natalizie per esprimere disagio esistenziale, estraneità al mondo (che, non si dimentichi, ha i tetri dettagli della stagnante Russia sovietica), oppure malinconici sentimenti d'amore.
A partire dal 1973, tuttavia, l'orizzonte si dilata fino a sfiorare gli inimmaginabili confini del tempo, la soglia di un'eternità né algida né vindice, ma compassionevolmente china sul microcosmo terreno, abitato da "trastulli di creta dentro uno scenario". Al centro delle poesie più recenti c'è soltanto l'evento miracoloso e rinnovato della nascita del Bambino, inserito quasi sempre in un contesto naturale, atipico ed estremamente suggestivo (la sabbia del deserto che turbina sotto l'infuriare di una tormenta di neve, una grotta che rivive nell'immaginazione grazie gli spifferi di un gelido appartamento, un presepe di cartapesta, gli ingredienti di un miracolo che si combinano, come una ricetta celeste, per accendere "le quattro candele di una stella"). Una materia poetica così varia si giova di metri diversi. Nei primi poemi troviamo il giambo, l'anapesto, il dolnik (tipico metro russo dove il ritmo del verso tonico è determinato dall'alternarsi variabile di sillabe accentate e non). L'intento è quello di trasmettere ora le sensazioni di una malinconica ballata (1° gennaio 1965), ora il tambureggiare provocatorio e incalzante di una satira che ha per oggetto non solo la società, ma il poeta stesso (Discorso sul latte versato)
Invece nelle poesie scritte tra l'88 e il '90 predomina l'anfibraco, un verso considerato da Brodskij "neutro […] narrativo […] un'imitazione del folclore[…]",
un verso monotono che permette all'artista di ritrarsi con tutto il suo bagaglio di emozioni personali - così da lasciare che sulla ribalta si rappresenti il dramma o l'idillio, e campeggino i tre eroi, Maria, Giuseppe, il Bambino, sotto la volta di un cielo invernale rischiarato da una stella che brilla come un occhio divino.
Essere fedeli a questi schemi metrici nella traduzione italiana avrebbe significato tradire la poesia, costringendo in uno schema prefissato la libera ricerca dei termini e dei suoni più adatti a una resa efficace.
Il russo è una lingua estremamente musicale, soprattutto in poesia, ma una versione rigidamente rimata in italiano farebbe scadere qualsiasi testo a canzonetta o filastrocca.
La mia prima preoccupazione è stata la fedeltà alla scrittura originale: non condivido, per esempio, la disinvoltura eccessiva con cui queste stesse poesie sono state tradotte in inglese (anche inventando parole o interi versi) per rispettare la rima o uno schema metrico prefissato.
La mia traduzione, pur giocando con le parole e le immagini, ha voluto rendere esattamente ciò che ha scritto il poeta. S'intende, è ovvio, che il risultato non sarebbe stato soddisfacente ai miei occhi - anzi, alle mie orecchie - se non fossi riuscita a restituire il ritmo interno dei componimenti ricorrendo talvolta a rime vere e proprie, talvolta a rime interne, molto spesso alle assonanze.
Valga per tutto un esempio.
Anna Raffetto