Traduzione da: Letteratura greca - Traduzionedi Giuseppina Dilillo
Le scatole cinesi, come le matrioske russe, sono una serie di scatole inserite una dentro l’altra, l’ultima, la più piccola, non si apre, conserva per sé il suo segreto e il suo prezioso contenuto. I fatti narrati in questo libro si concatenano l’uno all’altro come scatole cinesi, un elemento porta a un altro e poi a un altro ancora, nella speranza continua di giungere a una conclusione che però non arriva.
Nonostante l’assenza del classico “lieto fine”, il libro rispetta ugualmente il criterio aristotelico della “catarsi”. La differenza rispetto alla letteratura di genere noir a cui Scatole cinesi appartiene, e la firma distintiva di Soti Triantafillou, sta nel fatto che la “catarsi” non è intesa come purificazione della società dal male (l’arresto dell’assassino e il trionfo del bene sul male), ma diventa una questione personale del protagonista, del solitario detective Malone.
Abbandonato dalla sua donna già alcuni anni prima dell’inizio cronologico di questa storia, non riesce ancora a elaborare la perdita subita e si rifugia in un atteggiamento apatico fatto di routine, come se l’automatismo della sua quotidianità possa in qualche modo sopperire all’incapacità di reagire. Ogni tanto si lascia prendere dall’impulso di porre fine alla sua vuota esistenza: un semplice cavo elettrico da cui pende la lampadina in una bottega di barbiere “gli [sembra] proprio adatto a impiccarsi” (pag. 69); la finestra bloccata del suo ufficio gli impedisce di assecondare “quel vecchio desiderio di cadere nel vuoto” (pag. 50).
Il male della società in cui si muovono Malone, la sua segretaria Deni e i poliziotti che indagano sulla serie di omicidi di stampo razzista, porta a crearsi una corazza impenetrabile di difesa che potrebbe essere scambiata per insensibilità. In realtà si tratta di rassegnazione, dovuta alla consapevolezza di essere impotenti di fronte al male e di non poterlo debellare. Il male non è che il risultato di un intricato complesso di concause (scatole cinesi!) per le quali nessuno è direttamente responsabile, o se lo vogliamo vedere secondo l’ottica di Soti, per le quali tutti siamo responsabili, almeno indirettamente.
Ma la “catarsi” che Soti Triantafillou ha previsto per il suo libro non è la tragica risoluzione di Malone come un novello Aiace, bensì il ritorno, dopo un anno intero, della primavera, quando cioè Malone riesce finalmente a formulare un pensiero che somiglia più a un momento epifanico: si rende conto di essere ormai “cresciuto troppo per continuare a soffrire” (pag. 211) e decide di uscire dal torpore.
Non è semplice tradurre Soti Triantafillou. È tra gli scrittori greci contemporanei più noti. Da quando ha cominciato a pubblicare, una ventina di anni fa circa, ha dato alle stampe più di 20 libri tra romanzi e raccolte di racconti, oltre a vari altri libri di non narrativa. Possiede una cultura sconfinata e nei suoi libri ci sono sempre moltissimi riferimenti storici e culturali che il traduttore deve saper riconoscere perché spesso sono ben mimetizzati nel flusso narrativo. Compito arduo.
Difficile è anche cercare di rispettare il suo personale stile di scrittura. Molte ripetizioni enfatiche, uso di tutti i segni di interpunzione previsti dai manuali di scrittura. In un’epoca, la nostra, che ormai considera il “punto e virgola” un elemento in via di estinzione, Soti ne fa un uso abbondante e particolarissimo. In alcuni punti ho dovuto emendare e trasformare qualche punto e virgola in semplice virgola o in punto. Ma in alcuni tratti, questo apparentemente insignificante segno di interpunzione, assume un ruolo importantissimo, e non poteva essere epurato. Penso soprattutto alla scena in cui Deni, piena di ansia e paura, aspetta la visita dell’uomo di cui suo malgrado si è innamorata ma che probabilmente è coinvolto nella serie di omicidi. Lei è in casa (un mini-appartamento invaso da scarafaggi che lei aspira con il suo aspirapolvere rosa) e aspetta “…con il batticuore a ogni minimo rumore; un gatto passò miagolando fuori della porta; una vicina uscì sul pianerottolo per spazzare; il portiere le infilò sotto la porta una pubblicità di cibi cinesi da asporto. (pag. 128). Qui il punto e virgola dà la sensazione di fotogrammi che si susseguono, come se fossero sprazzi di luci di diapositive proiettate in una sala buia: il batticuore a ogni minimo rumore – clack-buio-cambio diapositiva- un gatto passa miagolando fuori della porta – clack-buio-cambio diapositiva-una vicina esce-clack-buio-cambio diapositiva-il portiere le infila una pubblicità-clack-buio. Non si ha la sensazione che questi fotogrammi posti così aumentino la suspense e ci rendano perfettamente lo stato d’animo di Deni trepidante? Il punto e virgola doveva rimanere.
Giuseppina Dilillo