Finalista Premio Letteraria 2017 per la traduzione del Diario di Anne Frank, BUR Rizzoli2017, si è laureata presso l'attuale Civica Scuola per Interpreti e Traduttori Altiero Spinelli di Fondazione Milano, traduce per Salani, Bompiani e Rizzoli. La sua traduzione del romanzo Il libro di tutte le cose, di Guus Kuijer, Salani, ha vinto il Premio Andersen 2010. Vive ad Amsterdam.
Sulla locandina di presentazione del Diario presso la Civica Scuola per Interpreti e Traduttori Altiero Spinelli di Fondazione Milano c’è una domanda, L’alloggio segreto o la casa sul retro?, qual è stata la tua scelta?
Questa è stata una delle (molte) domande che mi sono posta traducendo il diario di Anne Frank. Nelle traduzioni italiane precedenti si parla sempre di alloggio segreto, ma Anne non ha mai definito così l'appartamento in cui lei, la sua famiglia, la famiglia Van Pels e il dottor Pfeffer sono rimasti rinchiusi per 25 mesi. Lei l'ha sempre chiamato achterhuis, che significa letteralmente casa sul retro, poiché i due piani più soffitta in cui si erano nascosti erano situati sul retro dell'edificio in cui aveva sede la ditta del padre. Anne aveva perfino annotato che se un giorno avesse pubblicato i suoi scritti, avrebbe voluto intitolare il libro proprio Het Achterhuis, e dunque La casa sul retro. Ed è proprio questo il titolo del diario di Anne Frank in Olanda, fin dalla prima pubblicazione nel 1947. In inglese, del resto, il nascondiglio di Anne è passato alla storia come The secret annex, e presumo che alloggio segreto abbia origine proprio dalla definizione inglese. Recuperare il termine letterale con cui Anne parlava della sua nuova casa, riportare finalmente anche in italiano una parola che Anne ripete più e più volte nel suo diario è stata quindi una delle scelte per riavvicinarci a lei e farla rivivere nelle sue parole più vere.
Che cosa ha significato per te come persona e come traduttrice farti interprete del diario di Anne, che, oltre a essere stato dichiarato patrimonio immateriale dell’umanità nel 2009, è per eccellenza un documento intimo, voce-simbolo di una tragedia umana, voce-simbolo per milioni di persone, voce che oltretutto appartiene a una ragazza che non ha più voce e che non ha mai più avuto voce, quindi un doppio silenzio che andava cancellato perché Anne potesse ritrovare voce?
Tradurre questo diario è stato assolutamente come tradurre un testo sacro. Analizzare tutte quelle sue parole di speranza, di fiducia nell’umanità, quelle espressioni ingarbugliate e profondissime, con la consapevolezza del suo feroce destino è stato a dir poco straziante.
Tradurre dall'olandese è il mio mestiere, ma ciò che da sempre mi lega ad Anne è altro: i miei nonni, sia materni che paterni, sono sopravvissuti alla Shoah, in luoghi e in modi molto diversi fra loro, mentre le loro famiglie sono state inghiottite dal progetto assassino nazista. Inevitabilmente ho vissuto questo incarico, quindi, come un'occasione per restituire la voce a tutti quelli che sono stati messi a tacere, alle tante, tantissime Anne che non sono più tornate.
Con il curatore, Matteo Corradini, ci siamo riproposti di prendere Anne per mano e cercare di avvicinarci a lei con la massima delicatezza, consci del fatto che la sua è un'opera privatissima, non compiuta, e indissolubilmente legata alle circostanze in cui è nata. Si è trattato quindi di fare attenzione ai minimi dettagli, non soltanto per una questione letteraria, ma sempre tenendo conto del fatto che si tratta innanzitutto del diario di una ragazza che, prima di sentire annunciare per radio che gli scritti personali degli anni della guerra sarebbero stati usati come documenti storici, scriveva per sé stessa. Bisognava ricreare la sua spontaneità, dare vita ai suoi scatti di ira così come alle emozioni più pure, riprodurre i suoi ragionamenti a volte contorti ma anche la grande semplicità, ad esempio, delle prime pagine.
I traduttori sanno quanto sia prezioso disporre di conoscenze sull’autore e anche confrontarsi con critici, recensori, studiosi. In che cosa ti è stata particolarmente utile la collaborazione con Matteo Corradini nella traduzione del diario e che insegnamento ne hai tratto in generale per la tua esperienza di traduttrice?
Con Corradini c'è stata fin da subito una grande sintonia, e questo è stato di grande aiuto. Le nostre conversazioni spaziavano dal come riuscire a mantenere il ritmo in un dato passaggio, a come rendere alcune espressioni o vocaboli - come quel dáág informale e vivace con cui Anne spesso terminava le sue lettere a Kitty - arrivando anche a discorsi di tutt'altro registro. Nel suo diario, infatti, Anne parla spesso degli innumerevoli e inevitabili disagi della vita nel nascondiglio, della totale mancanza di privacy. Otto persone rinchiuse in un appartamento dalle pareti sottili, costrette a starvi rinchiuse pena la cattura e la deportazione, si ritrovano a condividere spazi angusti e situazioni spesso spiacevoli. Anne racconta dunque più volte di questi disagi, proponendoci anche scene tragicomiche, con tanto di vasi da notte traboccanti. E quindi ci siamo ritrovati a interrogarci anche sulla resa di parole come puzzette e gabinetti... Anne era una ragazzina allegra, buffa, ribelle, tanto nella casa sul retro quanto (e anzi molto di più) nel mondo dentro di sé, e quindi nel diario. Bisognava pensare a come farle dire questo tipo di cose, come parlare della sua intimità, di mestruazioni per esempio, senza mai rendere alcun passaggio più volgare di quanto non lo fosse in olandese, o tantomeno alzandone il registro. Corradini scrive soprattutto libri per ragazzi e parla molto con i giovani nelle scuole, e io ho tradotto principalmente letteratura per ragazzi, autori ormai classici in Olanda come Anne MG Schmidt e Guus Kuijer. La sintonia credo sia nata anche da questo: entrambi ci troviamo molto a nostro agio con le parole e i pensieri di una ragazza, ed entrambi le eravamo già da molto tempo, se così si può dire, particolarmente affezionati. Questa stretta collaborazione - nonché una disperata lotta contro il tempo - mi ha anche portato ad affidare a lui la riscrittura in rima delle filastrocche che Anne riporta nel suo diario, come quelle composte per la festa di San Nicola.
Puoi raccontarci di un passaggio in cui è evidente la crescita umana di Anne Frank?
Anne era una adolescente meravigliosa, sfacciata, vivace e a prima vista superficiale, ma anche estremamente sensibile, riflessiva, matura, con un invidiabile spirito critico.
Pagina dopo pagina, la semplicità delle considerazioni e delle descrizioni iniziali lascia spazio a un'introspezione sempre più profonda e a un'analisi attenta della realtà. I suoi scritti sono un intreccio fra la crescita interiore dovuta meramente all'età, dai tredici ai quindici anni, all'immensa quantità di libri con cui nutriva la sua fame di conoscenza o voglia di imparare (e con cui ammazzava il tempo), e la sua crescita legata alle circostanze innaturali in cui si trovava: la reclusione e la guerra.
Anne scrive su tutto, dai miracoli che avvengono nel suo corpo alle spaventose notizie sui campi in Polonia (era già a conoscenza delle camere a gas nel 1942), dalle deportazioni di conoscenti ad Amsterdam all'emancipazione della donna, dalla descrizione della vita quotidiana nel nascondiglio alla ricerca della felicità. Confida al diario la sua voglia di uscire, gridare, ridere, e il senso di colpa per quel desiderio così ingrato; l'innamoramento per Peter, l'amore sconfinato per il padre, il rapporto conflittuale con la madre. Forse uno dei primi passaggi in cui Anne riflette profondamente sul rapporto con la madre, il padre e la sorella è quello scritto il 7 novembre 1942, quando ormai è reclusa da quattro mesi. Qui Anne confida al diario come si senta sempre più diversa e lontana dalla madre e dalla sorella, e come l'addolori la sensazione che il padre, quel padre amatissimo e perfetto, non si renda conto di ciò che la figlia prova davvero. Anne si sfoga con Kitty raccontandole quanto soffra per il fatto che nessuno la capisca realmente, né veda quanto lei sia diversa e ben più matura, interiormente, dalla ragazzina impertinente che tutti credono di conoscere.
Perché la scelta di Diario per il titolo invece di Casa sul retro come nell’edizione olandese?
In realtà non credo di aver mai ritenuto che il titolo olandese, La casa sul retro quindi, potesse avere una qualche possibilità di essere mantenuto in un'edizione italiana. Se introdurre casa sul retro e eliminare alloggio segreto ha un senso preciso all'interno del testo, e avvicina davvero di più il lettore alle parole di Anne, cambiare il titolo, oramai, porterebbe forse solo confusione, instillando nel lettore il dubbio di trovarsi di fronte una diversa (ed ennesima) pubblicazione di, o su, Anne Frank, e non necessariamente a una nuova edizione del suo celebre diario.
Flashletter n. 2/41 anno XIV, 15 marzo 2018