Autore:
Jean Portante / editore: Empiria, 2011
Pubblicazione:
23 gennaio 2012
Accostarsi all’opera di Jean Portante, per chi come me ne ha curato fin dal 1995 la maggior parte delle traduzioni italiane, ha significato misurarsi con un approccio alla realtà personalissimo che la poesia – ma anche la prosa – dell’Autore ci propone fin dagli esordi della sua produzione letteraria. Una percezione di empatia che si è rinnovata con la presente antologia e che mi riporta con la memoria al primo incontro con Portante all’epoca in cui usciva il suo romanzo Mrs Haroy ou la mémoire de la baleine (1993), destinato a diventare rapidamente un best-seller nel panorama culturale lussemburghese, grazie ad una rilettura del tutto originale e carica di suggestioni dell’esperienza migratoria che ha coinvolto l’Autore insieme alla sua famiglia giunta a più riprese dall’Abruzzo nel secolo scorso. Il rapporto con l’altrove variamente declinato si pone infatti come la cifra distintiva che attraversa la sua scrittura, alla ricerca di un modo nuovo di abitare il mondo, in cui il sentimento di estraneità non è mai disgiunto dalla consapevolezza, assunta come valore, di una precarietà esistenziale che accomuna gli umani al di là di ogni frontiera. La scelta di tradurre Portante diviene allora, a partire dalla condivisione di un percorso in cui ci si riconosce entrambi, una duplice sfida. Da un lato la parola e il tessuto in cui si iscrive, fatto di immagini, di ritmi e di richiami, cui nella nuova veste è necessario rendere, pur nelle modalità che un codice diverso impone, il respiro della vita. E qui la sfida è anche dare conto di quella che l’Autore definisce étrange langue, quella dimensione particolare del suo vissuto in cui è la lingua della traduzione a rimandare alla lingua delle origini e paradossalmente a risuonare come lingua materna. Dall’altro, la consapevolezza di un atto dovuto, con la responsabilità di riportare in patria una delle voci che all’estero hanno saputo più compiutamente, a mio avviso, elaborare letterariamente il rapporto con l’alterità a partire dalla propria biografia personale. “La cenere delle parole parla un’altra lingua” si legge nella citazione di apertura a questa antologia poetica che raccoglie una selezione dalle diverse sillogi di Portante apparse nell’ultimo quindicennio, una lingua che è misura della provvisorietà, coscienza di una realtà instabile, ma anche segno di possibili molteplici letture di quel caleidoscopio che chiamiamo mondo. Come la combustione non cancella ma trasforma, così il poeta non si perde nel vuoto della negazione, seguita a cercare la parola, sceglie di restare, pur nello straniamento di un tempo ritrovato che è perduto, nell’inquietudine che agita al contempo la memoria e l’oblio. Combustione dolorosa ma feconda tuttavia, che richiama quel concetto di effaçonner che è anche il titolo di una raccolta di versi di Portante (di cui questa antologia include alcuni testi), un neologismo pregnante e intraducibile che coniuga in un patto indissolubile i verbi effaçer (cancellare) e façonner (dare forma) aprendo alla parola possibilità inedite di sgorgare nella sua autenticità multipla. Qui la cenere si rivela solo apparentemente inerte: la storia che finisce, con il sonetto che scompare a chiudere l’antologia, ha un sussulto di resistenza dove l’enigma di un silenzio che si spoglia dietro la porta si fa attesa, quasi promessa che prelude all’imminenza di una voce poetica ancora una volta rinnovata e di nuovo già pronta a farsi dono.