Avventure dello stampatore Zollinger

Argomento: Romanzo
Pubblicazione: 1 marzo 2019

La storia di August Zollinger è picaresca. Ma quale storia non lo è? Continuamente sbattuto dal destino, dal caso o dal vento, l’uomo è picaresco per natura. Perfino da fermo nella sua stanza. (Si può perdere l’orientamento tra quattro muri?) La Bibbia e i poemi omerici, l’Eneide, la Commedia, Don Chisciotte, Pinocchio, tutte le favole, la Recherche, e perfino Catullo, Petrarca, Montaigne…

È una storia quasi senza struttura, e che passa da un fatto all’altro e da un luogo all’altro in modo lineare. Ha forma anarchica come il protagonista. E quasi ci viene in mente di vedere un rapporto diretto tra l’anarchismo, che ha avuto un grande sviluppo in Spagna, e la narrativa picaresca.

Il picaro ci racconta le pene che va soffrendo e del suo desiderio di cambiare condizione. Quanto ad August, non è lui a raccontarci la sua vita, ma ugualmente è un racconto di vicissitudini, di pene sofferte, oltre che di gioie. E le gioie derivano dal non pensare mai di voler cambiare condizione, anche se lui non ha mai smesso di pensare alla sua tipografia come a un sogno.

E alla fine si ritrova, per destino, nella vita che il destino gli negava.

In un sonetto di Borges, si parla del “juego/ arriesgado y hermoso de la vida”. In un’altra sua poesia.

“Texas”, Borges si stupisce di incontrare anche lontano dalla sua Buenos Aires “esa desconocida/ y ansiosa y breve cosa que es la vida”. Anche August immaginiamo che prenda la vita come una cosa sconosciuta, ansiosa e breve, e come un gioco arrischiato e bello. (E come se dicesse: se la nostra maggiore verità è la fragilità, è improbabile che la forza dobbiamo andarla a cercare da un’altra parte).

“Io non voglio morire prima di aver fatto almeno un mastello. Mio nonno faceva il mastellaio. Mio padre fa il mastellaio; mio nonno fece una piccola botte dentro un fiasco, e ce ne vuole del mestiere. Curvare le doghe col fuoco, sempre dentro il fiasco, incollarle, mettere i due fondi, sempre con dei ferretti lunghi, piccolissimi, costruiti apposta. Mio nonno dice, e lo dice anche il mio tenente, che le cose belle nascono dalla noia, ma io dico invece che nascono da un gran bisogno di riposarsi.”

Questo raccontino, attribuito a un caporal maggiore, è riportato da Leonardo Sinisgalli nel suo libro di note, aforismi, riflessioni Horror vacui. Mi chiedo se anche Pablo d’Ors non abbia scritto questa bella storia per riposo o per noia. Tutti gli altri suoi libri sono infatti molto diversi. Ha scritto un racconto tanto forte, forte a forza di lentezza, di esitazioni, stupori, che noi lo pensiamo addirittura senza autore. Tanto forte da non aver bisogno di autore. Che raggiunge il privilegio dell’anonimato. In più questa è una favola (lasciando nel concetto tutta la realtà di cui una favola è capace; che una favola è capace di suscitare), e si sa che gli autori delle favole non esistono.