Diario di lettura di un libro difficile. E bellissimo.
Circa un anno fa, più o meno in questo periodo, mi accingevo a stampare il file di Diary of a Bad Year. La stampante ‒ di sua iniziativa ‒ mi consegnò le pagine da 1 a 19, seguite da quelle finali, da 177 a 181.
Ho smesso di cercare di capire perché succedano certe cose, ma non di notare che succedono…
Allora – giacché tutto era cominciato in modo così magico-anarchico e il libro sembrava anarchico per più versi, continuai a leggerlo in modo casuale.
Lessi le prime 19 pagine nel modo tradizionale (ma non funzionava) poi continuai con la fascia centrale, e con quella inferiore, per tornare (in modo random) a quella superiore.
Il risultato? Non sapevo se l’avevo letto tutto, e mi accingevo a ricominciare a leggere la fascia superiore dal principio alla fine.
Addosso avevo la sensazione fortissima che facesse tutto parte di un sogno. Quelle pagine hanno una straordinaria energia onirica e una sorta di forza profetica, ma questo, come scrissi subito a John Coetzee, aveva forse a che fare più con lo stato d’animo della sua lettrice-ammiratrice-traduttrice che con il suo romanzo.
Se classica è la pagina sulla quale puoi tornare tante volte senza che perda la sua capacità di parlarti e colpirti per la sua efficacia narrativa, etica e retorica), ebbene Diario di un anno difficile è stato da subito un classico per me.
Vi avevo individuato delle correnti profonde che scorrevano per le pagine. Come se i suoi tre livelli permettessero al lettore di immergersi in quelle parole senza avere più bisogno di ritornare, di riemergere alla superficie della vita reale. E forse quello contribuiva alla qualità onirica cui accennavo sopra, o addirittura la causava. Una qualità onirica che non è nella narrazione, ma nello stato mentale indotto nel lettore.
L’ho amato immensamente. E l’ho trovato anche molto duro da reggere. Come la vita. E sono piena di gratitudine.
Poi l’ho tradotto ma questo potrebbe essere argomento di un altro diario.