Nel romanzo L’angolo del mondo, il pretesto è una storia d’amore tra una professoressa “grigia” che vive tiepidamente, senza sbalzi né sorprese, e Daniel, un picaro caraibico con le vene pulsanti di vita, letteratura, sogni e passione.
La trama, invece, è un intreccio di tante storie: biografiche, la Storia di Cuba, storie letterarie, di scrittura, di cinema, teatro e musica. Accanto a Marian e Daniel sfilano le molte, diverse e coloratissime persone che hanno affollato e affollano l’Avana e il suo lungomare, ognuna con le sue speranze e i suoi progetti di vita, disegni che molto spesso devono includere la partenza da quell’isola, circondata da un mare che la stringe tanto da renderla troppo piccola per poterci restare. Ecco, L’angolo del mondo, è mille storie di partenze: c’è chi se ne va per egoismo, chi per ossessione, chi per sfida, chi per amore, chi per mantenere quelli che rimangono. Ogni partenza è accompagnata dagli addii, dai “tornerò”, dai “ce la farò”, dai “ti aspetterò”. Cosa sei disposto a fare per vivere i tuoi sogni? Cosa puoi lasciare? Cosa ti aspetti di trovare? Questi sono gli interrogativi che percorrono tutto il libro, conficcati nelle teste e nei cuori dei personaggi. E l’Avana non assiste tacita e quieta all’andirivieni continuo nella macro e nelle microstorie. L’Avana è sempre lì, partecipa, accompagna, illumina, spegne e riaccende le luci e gli animi tropicali di un mondo che non è primo, ma che al contempo, non si sente neanche terzo, un mondo di mezzo, culla di identità ibride.
La penna è quella di Mylene Fernández Pintado, una scrittrice che, a pieno titolo, proprio per come tratta il tema delle migrazioni, entra nel gruppo de los Novísimos, di cui chi scrive, prima di tradurre L’angolo del mondo, ha letto molto e selezionato alcune opere per una collana di narrativa cubana contemporanea. Ed è stato prima con un progetto della regione Lazio, e poi con uno scambio accademico, che la nostra idea è approdata all’Agenzia Letteraria dell’Avana, e il primo libro, nel catalogo di Marcos y Marcos.
Abbiamo conosciuto Mylene per caso. Quel giorno veniva all’Agenzia per parlare del suo romanzo tradotto negli Stati Uniti. Ci siamo subito incuriositi e le abbiamo chiesto di cosa trattasse. Lei ne aveva una copia in mano, l’abbiamo sfogliata, aperta alla prima pagina, letta velocemente. Una scrittura fresca e fluida, uno stile pulito e incalzante. “Ci piacerebbe leggerlo tutto; se possiamo averne una copia, te la riportiamo da qui a una settimana”. Siamo andati a casa di Mylene qualche giorno dopo con quell’unica copia stretta al petto. Vorremmo tradurlo e proporlo in Italia. Mylene non ha potuto dire di no. Ma soprattutto, ha sentito che La esquina del mundo (titolo della versione originale) stava per affrontare i mari e superare i confini. Stava per iniziare il suo viaggio.
La traduzione, a quattro mani, è stata un “passo a due”: abbiamo letto insieme e individualmente, approfondito, scandagliato, iniziato a tradurre, congiuntamente e separatamente in prima versione, e poi rimescolato le parti. Un vero e proprio esperimento “politraduttivo”, con cui ci siamo misurati e divertiti al fine di rendere in un diverso sistema linguistico-culturale la multifonia dei personaggi, i toni chiaroscuri dell’Avana, le note agrodolci e i ritmi incessanti della scrittura di Mylene Fernández Pintado. Compito arduo, soprattutto perché lo spagnolo dell’Avana e de L’Angolo del mondo è connotato diatopicamente, oltre che diastraticamente. Dunque, accanto alla conoscenza dei due sistemi comunicativi spagnolo e italiano, sono state necessarie competenze linguistiche e di linguistica ed esperienze di vita all’Avana; solo così siamo riusciti a trovare l’equivalente semantico e contestuale in italiano e abbiamo potuto ricostruire un sistema nuovo in cui accompagnare il lettore alla scoperta di un mondo complesso, perché per molti versi lontano nel tempo (andare a Cuba vuol dire tornare indietro di 60 anni) oltre che nello spazio.
E poi il compito di rendere le varietà del registro colloquiale: ogni personaggio parla per ciò che è, ed è ciò che dice. Lorena, per esempio, l’amica sincera e sboccata di Marian, le spiattella verità scomode in tutta la loro durezza; Sergio invece, lo scrivano dei racconti di García Márquez, è un romantico sognatore, scrive perché non può farne a meno e vede Amore alla base di ogni cosa; la madre di Marcos, rivoluzionaria per convenienza, egoista ed egocentrica, usa la lingua per aggrapparsi saldamente alla vita che ha vissuto nel primo mondo e che ora ricorda con nostalgica civetteria.
E infine, il confronto con le scelte stilistiche dell’autrice in cui oltre a relazioni semantiche, le parole intessono legami fonici. Relazioni e legami che vanno necessariamente mantenuti. Esempio: ‘el viandante’ delle Mille e Una Notte che Daniel credeva essere un signore con un cesto di ‘viandas’ sul turbante. Il gioco linguistico tra ‘viandante’ e ‘viandas’ (tuberi che si cosnumano fritti o al vapore, come la yucca, il platano, il boniato, la malanga) lo abbiamo reso in italiano con “viandante” e “vivande”, in cui il secondo termine mantiene la relazione semantica complessiva, il legame fonico e la resa ritmica.
Quando Mylene ha ricevuto il libro stampato in italiano, ha steso i cuscini per terra e, con una granita al limone in mano, ha letto il romanzo da cima a fondo, e ci ha chiamato: «Ho provato la stessa emozione intensa di quando ho letto, per la prima volta, La esquina del mundo, nella versione cubana». Abbiamo riso. Esperimento politraduttivo riuscito.