Opera prima di Richard Yates, Revolutionary Road è tuttavia uno dei suoi romanzi più maturi sia nell’impianto narrativo sia nello stile, sostenuto da una lingua precisa fino alla spietatezza che si ritrova in tutti i suoi libri. La trama, ora che da poco è uscito il film omonimo di Mendes, è ormai nota: una coppia giovane e bella, integrata in una tranquilla realtà borghese, si rode nella smania di una vita «interessante» e anticonformista, salvo poi non dimostrarsi all’altezza quando l’occasione si presenta. Questa storia che, a raccontarla in due parole, potrebbe sembrare perfino banale acquista vivezza e spessore inaspettati proprio grazie all’abilità stilistica di Yates.
Pubblicato nel 1961, Revolutionary Road uscì in Italia tre anni dopo. Yates non era certo un autore mainstream – molti lo trovavano troppo brutale e poco consolatorio, fu probabilmente il motivo per cui all’edizione del 1964 seguì un lungo periodo di oblio, da entrambe le parti dell’oceano. Nel 2003, finalmente, minimum fax decise che per i lettori italiani era giunto il momento di riscoprire l’autore e il romanzo, scegliendo di mantenere la traduzione già esistente, di Adriana Dell’Orto. L’opera si è rivelata uno dei libri cardine nella storia della casa editrice, tanto da ripubblicarla, arricchita da contenuti extra, nella nuova collana I Quindici, che raccoglie le opere più importanti uscite nei primi quindici anni di minimum fax.
Io ne ho curato la revisione del testo, che si sarebbe poi voluta sottoporre alla traduttrice, ma la signora Dell’Orto, traduttrice ancien régime non usa il computer, c’era da aspettarselo, e le correzioni le avrebbe annotate semplicemente e, se approvate, le avremmo ricopiate su file. Ma per un po’ di lavoro in più non sarebbe mica morto nessuno… e visto che stavolta si lavorava su un libro già pubblicato certamente le correzioni non sarebbero state eccessive. Questo almeno era quello che pensavamo, ma…
…tanto per cominciare, in quaranta anni possono cambiare molte cose dal punto di vista linguistico e lessicale, specialmente in una lingua complessa come l’italiano, mentre sotto molti aspetti l’angloamericano è rimasto sostanzialmente immutato. Nel nostro caso bisognava però evitare le modernizzazioni eccessive: dopotutto il romanzo era ambientato nel 1955, e qualcosa bisognava pur concedere al linguaggio e all’atmosfera dell’epoca. C’era poi un’altra cosa di cui tenere conto: nell’italiano che parliamo adesso sono migrati molti vocaboli inglesi o di origine inglese, semplificando in molti casi il lavoro del traduttore. Oggi sarebbe assurdo tradurre barbecue con spiedo per farci le bistecche all’aperto o T-shirt con camiciotto.
Mi sono imbattuta in altre bellissime tracce di un’epoca buia in cui i traduttori non avevano Google a disposizione e dovevano cavarsela con quella limitata porzione di scibile che era a portata di mano. Nella memorabile litigata notturna poco dopo l’inizio del romanzo, l’eco dei pugni frustrati di Frank sul tettuccio dell’auto lascia il posto a the shrill, liquid chant of the peepers. Ora, spring peeper è il nome inglese della Pseudacris crucifer, una raganella arboricola: ci vuole meno di un minuto per trovare questa informazione – su Google. L’Adriana Dell’Orto di quarant’anni fa si era tirata fuori da quel ginepraio come meglio poteva, attaccandosi come àncora di salvezza al verbo to peep, «pigolare», e trasformando quella melodia notturna in un coro di... pulcini. La traduttrice aveva fatto però un buon lavoro, senza attenuare in nessun modo, per esempio, la violenza del linguaggio nelle liti tra April e Frank e le censure del turpiloquio. L’unico fucking del libro – uno solo in 370 pagine – era stato cambiato in schifoso; bullshit era diventato stupidaggini: Dico questo per sottolineare come in Revolutionary Road, a differenza di tante opere successive di questo e di altri autori, il linguaggio è spesso violentissimo pur senza ricorrere a espressioni volgari: quando viene fuori una parolaccia, è come un campanello d’allarme che segnala un mutamento irrimediabile.