La traduzione, in qualsiasi lingua, costituisce per il libro, per qualsiasi libro, una dura prova: il traduttore è infatti il meno distratto dei lettori, costretto com’è a smontare e rimontare un testo, anche e soprattutto nei suoi apparati. Il traduttore può accorgersi ad esempio che il suo autore ha confuso Socrate con Isocrate, al di là di ogni possibile refuso; che considera Sant’Agostino autore dell’Imitatio Christi, avendo risolto a suo modo l’annosa questione gerseniana; che ritiene Enea caduto prima di raggiungere l’Italia; che, psicoanalista di professione, attribuisce al triste Uomo dei topi una violenza sessuale confessata in realtà da un altro paziente, il che comporta per Freud un’accusa di reticenza e peggio, svolta per una decina di pagine.(Certo, Freud almeno un errore di traduzione l’ha commesso, ma innocente, e l’ha pagato caro, con tutta la letteratura sul nibbio-avvoltoio.) Infine gli può capitare di veder citati in epigrafe, con cinque errori, due tra i più famosi versi della letteratura latina (exegi monumentum...), peraltro assegnati a Ovidio. Gli esempi sono ovviamente tratti da autori noti, pubblicati da editori stranieri notissimi, e hanno gettato nella costernazione il malcapitato traduttore, ponendolo di fronte a un vero e proprio “doppio legame”: dimostrarsi saccente o farsi tacciare di analfabetismo, proprio o condiviso? E che dire dei riferimenti bibliografici incerti e approssimativi, delle citazioni introvabili perché inesistenti, delle indicazioni errate, di capitolo, paragrafo, numero di pagina... pagate con ore e giorni di lavoro. Perché a norma di contratto i testi già tradotti vanno riprodotti così come sono apparsi al pubblico italiano.
Il lettore si tranquillizzi: non intendo aprire una vertenza sindacale, né celebrare i meriti di tanti traduttori (e redattori) italiani. Vorrei solo ringraziare Françoise Waquet della sua erudizione ineccepibile, delle indicazioni bibliografiche perfette, di aver citato in modo corretto persino i bistrattatissimi autori italiani, oltre a quelli latini, più apprezzati dal pubblico internazionale. Tradurre il suo libro è stato un piacere, oltre che facile, in un certo senso.
Un altro ringraziamento: contrariamente a quanto si pensa, a porre le maggiori difficoltà ai traduttori sono le scritture e gli stili trascurati, dietro l’apparente ricercatezza. Il traduttore che li riproduce lealmente (ho giurato di non usare il termine “fedeltà”, con i suoi derivati...) rischia tra l’altro di apparire cattivo scrittore, o analfabeta di fronte al suo editore. Così, di fronte all’avverbio freuduleusement, usato da un più che celeberrimo autore francese presto sui banchi delle librerie italiane, il traduttore non ha voluto spiegare al suo pubblico che si tratta di un gioco di parole sul cognome Freud e sull’avverbio frauduleusement... C’è sempre il dubbio che il pubblico italiano sia più sveglio degli autori che legge... Ma freudolentemente sembra davvero troppo...
Ecco, Françoise Waquet ha ancora una volta facilitato il compito del suo traduttore scrivendo un eccellente francese, senza concessioni al parlato, e alto come l’argomento richiedeva. Certo, non sono mancate difficoltà, relative per esempio ai molti riferimenti all’universo scolastico francese, alla diversa distribuzione dei corsi e delle classi in Europa, al grado di cultura dei lettori presunto (il traduttore ha creduto, contrariamente all’autrice, di dover spiegare al pubblico italiano, a piè di pagina, perché roterodamus costituisca un barbarismo). Per il traduttore solo una nota di rammarico: l’autrice non ha voluto rivedere il testo italiano, quando avrebbe avuto la competenza per farlo. E, come è noto a tutti i traduttori, le difficoltà cominciano quasi sempre con autori che credono di conoscere la lingua in cui vengono tradotti...