Cera matria

Marko Kravos
Traduzione dallo sloveno di Patrizia Raveggi
Multimedia, 2022

Marko Kravos e la primavera della sua creatività. Duina di Duino e Cera Matria

Cera matria è la nuova e decima raccolta del poeta, traduttore e scrittore Marko Kravos, triestino di lingua slovena coronato negli anni da vari premi, tra cui il Prešeren e l’Astrolabio d’oro. Ciò che più lo appassiona e in cui si identifica è la funzione di tramite e trait d’union tra le due lingue e le due culture che entrambe gli sono matrie. Su questo termine matria torneremo tra poco, per spiegarlo e così concludere.

Marko Kravos è sempre e soprattutto poeta. Tradotto in trenta lingue, con ventisei raccolte di poesia e sedici albi illustrati per l’infanzia, Marko Kravos durante la pandemia ha ideato un prosimetro in quattro cicli, un ricordo del Giorno di Giuseppe Parini.

Intitolato a una parte delle ventiquattro ore, ogni ciclo consta di undici sestine in sloveno (+ undici in italiano) e undici bozzetti in prosa in sloveno (+ undici in italiano), un complesso di ottantotto sestine ognuna accompagnata da un bozzetto, non necessariamente ad essa attinente.

Come già in Parini, l’atmosfera è pervasa di ironia: il tema della contingenza pandemica, il conseguente impoverirsi dei rapporti umani, la politica responsabile di una pesante situazione di repressione, paure indotte e prolungate oltre il necessario e il plausibile, un diffuso senso di soffocamento ed estraniamento si alternano a una meta ironia ‘che si sostanzia di complessi giochi di parole e scende in verticale nelle profondità della lingua’. E qui tocchiamo il soggetto principe del libretto, la lingua, ciò che restituisce un senso al nostro straniato essere nel mondo. È nella lingua, nella lingua materna, nobile cera matrice, che ci sentiamo accolti e a casa.

Bozzetto p. 83 Quando è da tanto che disponi le parole a tuo comodo, finiscono per essere arredo. Le metti in ordine, le coordini per farle sentire al meglio nel loro ruolo. Poi le accarezzi con gli accordi e il ritmo. E gli elementi del dizionario diventano la casa in cui ti trovi a casa. E ricevi gli ospiti

Se è vero in generale che tutti noi ci riconosciamo in una lingua determinata, che pensiamo, ricordiamo e soprattutto sogniamo in quella lingua, che la nostra identità È la lingua che la esprime, tanto più questo vale per un poeta come Marko Kravos molto preso dal lato artigianale della versificazione, un poeta che è una cosa sola con la lingua e la piega e ci gioca come un acrobata giocoliere o un orafo e tra le parole si sente a casa e può ricevere visite.

Per tornare al titolo: Matični vosek/Cera matria, né in sloveno né in italiano il termine ha una qualche rispondenza, né in apicoltura né altrove. Un apax legomenon che qui indica la nobile materia che plasmiamo e che ci plasma, la madre che sempre ci accoglie e ci è vicina. Il ricordo vola al grazie matria di Mario Luzi (Frasi e incisi di un canto salutare, 1990), alla Dismatria di Igiaba Scego, Matria è il ricordo della casa, evoca il dolce tempo dell’infanzia, dei propri cari, della madre appunto e prima di tutto. È il luogo fisico e metafisico dell’accoglienza al di là delle appartenenze nazionali, etniche, religiose, sociali o di genere, in contraltare con il termine ‘patria’, che indica una realtà storica definita dai discrimini di identità nazionale e di appartenenza a un dato territorio. Un termine abusato in contesti di retorica bellicista per tutto il Novecento (e magari fosse finita lì) e ormai quasi impronunciabile.

La voce poetica di Marko Kravos in Cera matria è quella di una ‘ape dell’invisibile’, che trasporta e salva come fanno le api ciò che altrimenti andrebbe distrutto o estinto. Nel sicuro rifugio del suo crogiolo poetico, tessuto di valenze autobiografiche e istanze simboliche, l’apertura polifonica è un canto dalle molteplici tematiche e dalle diverse intonazioni; del ruolo centrale della lingua e della parola si è detto (‘accogliamo ospiti nella lingua e dobbiamo usarla con rispetto e risparmio come api in un alveare’. ‘Le parole vanno pesate’. ‘La sincerità di un autore si manifesta nella sobrietà.’. ‘La parola è un cucchiaio che raccoglie i dati dei sensi e il portato dell’immaginazione e porta tutto alla bocca…’); una giornalista ha osservato l’inarrestabile vitalismo che sgorga dalle poesie unito a una saggia capacità di accettazione della cruda realtà, quale che sia :

Bozzetto p 77 Una volontà di ferro spinge a progredire: da essa nasce il voler bene a se stessi. Giusto, o quasi. Ma quanto importanti sono nel dizionario della vita questi quasi. Ci insegnano la modestia, ad accontentarci di poco. A capire che ogni tanto possiamo limitarci al sì o al no. A scrollare le spalle se non funziona.

Nell’ultima parte si fa martellante il richiamo alla transitorietà, alla caducità, e sembra di sentire il rintocco funebre dell’ultimo viaggio, perfino lì si risveglia un guizzo erotico:

Fin dall’esordio, questo mondo mi accoglie

La sestina conclusiva è invece una epigrafe tombale in sei versi scarni ed essenziali. Il verbo (la parola) si appaia alla terra, che è il grembo che raccoglie il seme e genera la memoria:

Terra
verbo

del ricordo
dimora

per semenza
grembo

Editore di Cera matria