Traduzione da: Letteratura svedese
La storia ha inizio il 22 dicembre del 1947, in uno sperduto paesino del nord della Svezia. Un uomo di mezz'età che collabora con il giornale regionale sta scrivendo il suo consueto trafiletto con le notizie locali; stavolta si tratta della comparsa nella zona di un misterioso personaggio, probabilmente di origine tedesca, che gira con il suo autobus vendendo capi d’abbigliamento e tessuti. Il giornalista è interrotto a metà dell’articolo dall’arrivo della posta, che contiene una lettera nella quale il direttore del giornale lo esonera dal suo incarico diffidandolo anche da continuare a scrivere: si è infatti scoperto che le sue notizie sono fasulle - fasulli gli avvenimenti raccontati, fasulli i personaggi, fasulli i luoghi. Ligio, l’uomo ripone in cantina il suo scrittoio e da quel giorno non scrive più una sola parola, nemmeno il proprio nome; se deve firmare qualcosa, stampa un’impronta con la zampa essiccata di uno scoiattolo. Lo ritroviamo cinquantatré anni più avanti, dunque ai giorni nostri, ultracentenario ma ancora misteriosamente in buone condizioni e giovanile (anzi, sempre più giovanile), ricoverato in una casa di riposo per anziani. Leggendo il giornale, scopre che il famoso direttore è deceduto, anch’egli quasi centenario: immediatamente fa recuperare il suo vecchio scrittoio e riprende a scrivere dove si era interrotto. La sua cronaca racconta dunque l’arrivo nel villaggio di Avabäck del venditore ambulante Robert Maser, che non ricorda più nulla del suo passato tranne il fatto che forse viene dalla Germania (ma il nostro buon giornalista sospetta che si tratti del gerarca nazista Martin Bormann, del quale dopo il 1941 si erano perse le tracce), e poco dopo quello del maestro elementare Lars Högström, capitato anch’egli nello stesso paesino per prendere il posto del precedente maestro, morto di tubercolosi. I due uomini, scoperta la passione che condividono per la musica, diventano amici e si sistemano entrambi a pensione nella casa di Eva Marklund, una donna momentaneamente sola perché il marito, malato di tisi come gran parte della popolazione della zona, si trova in sanatorio. Eva li introduce alle delizie della cucina locale, e i due rimangono particolarmente conquistati dalla sua pölsa (un tipico piatto del Norrland in cui entrano in pratica tutti gli scarti della macellazione, soprattutto teste, zoccoli e interiora, bolliti e macinati in una poltiglia che, raffreddandosi, si può anche affettare). Quando vengono a sapere che di questo piatto esistono tante varianti quanti sono i villaggi del Västerbotten, decidono di studiarle una a una per scoprire la pölsa perfetta. Come due Gault&Millau ante litteram, durante l’estate percorrono in lungo e in largo la regione con la moto di Lars, assaggiando e giudicando, e raccogliendo le diverse ricette (a volte invero piuttosto improbabili e perfino disgustose). Alla fine giungono da Ellen di Lillsjöliden, una donna di una bruttezza veramente esagerata, ma che a quanto si dice cucina la pölsa migliore di tutto il Västerbotten. I due l’assaggiano e rimangono incantati. La donna non rivela gli ingredienti, ma Lars viene a sapere che prepara sempre la pölsa per tutto l’anno alla fine di ottobre. Così quell’autunno si allontana da solo con un pretesto, e torna da lei. Robert, che ha intuito il "tradimento", lo segue e per tre giorni rimane a spiare i due che insieme, come in un rituale che sa quasi di magia, preparano la pölsa, quel cibo divino e metafisico in cui entra ‘tutto’, e che palesemente ha conquistato Lars al punto di fargli dimenticare la scarsa avvenenza della cuoca. Così Lars decide di legare il suo destino a quello di Ellen, Robert muore accoltellato da Bertil, un bizzarro personaggio che da sempre li segue e li spia, e Eva rimane ancora una volta sola. Ma presto torna a casa, perfettamente risanato, il marito, il quale però decide che non vuole rischiare nelle fatiche dell’agricoltura la salute riconquistata, e si mette invece a scrivere le notizie locali per il giornale regionale…. e con ciò il cerchio si chiude.
La cronaca della ricerca della ricetta perfetta è inframmezzata dalle vicende quotidiane dell’ultracentenario che la scrive, alle prese con una società moderna che solo in apparenza si prende cura dei suoi soggetti più deboli.
Sublime metafora dell’ambiguità della vita, “La ricetta perfetta” è un concentrato dei temi più cari a Lindgren - l’irrinunciabile singolarità dell’individuo, la sostanziale vanità della distinzione fra realtà e fantasia, l’impalpabile differenza fra essere e rappresentare. E, ancora una volta, il grande autore svedese riesce brillantemente ad alleggerirne il peso filosofico con il suo divertito distacco e il suo fulminante umorismo.
È indubbio che Lindgren - che accanto alla letteratura coltiva un profondo interesse per la musica e la gastronomia - si sia divertito parecchio e scrivere questo romanzo, così come mi sono sinceramente divertita io a tradurlo. Avendo già affrontato in precedenza diversi suoi testi e conoscendo bene l’Autore sia attraverso la sua opera che a livello personale, non ho incontrato particolari difficoltà nel mio lavoro, al di là della traduzione di alcuni termini dialettali riferiti a piante, animali e nomi di malattie, di cui gentilmente l’Autore mi ha fornito il corrispondente in svedese standard. Forse, l’impegno maggiore che mi ha richiesto questo testo è stato di renderne correttamente il ‘tono’, dato che il linguaggio dell’originale è volutamente ricco di termini, formulazioni e costruzioni desueti che servono a dare una cadenza solenne e seriosa alla narrazione, in contrasto con il contenuto surreale, comico e grottesco della storia. Ovvero, di mantenere parallelamente un impeccabile livello stilistico senza dimenticare la risata sotterranea sempre presente e pronta a sbucare fra le righe.
Carmen Giorgetti Cima