Cristo nei romanzi di Dostoevskij
(Simonetta Salvestroni, Qiqajon, 2021)
Cristo nei romanzi di Dostoevskij, è un breve saggio di Simonetta Salvestroni, scritto durante la pandemia Covid-19 e pubblicato da Qiqajon, le edizioni del Monastero di Bose. Docente di lingua e letteratura russa e di critica del cinema, ha insegnato all’Università di Cagliari; con le edizioni Qiqajon ha pubblicato inoltre Dostoevskij e la Bibbia (2000) e Il cinema di Tarkovskij e la tradizione russa (2006).
L’autrice offre al lettore un’analisi dei personaggi nell’opera del grande autore russo, attraverso uno sguardo cinematografico. Mentre Dostoevskij pone il suo sguardo sul mondo e sull’umano, l’autrice ne inquadra i personaggi nelle scene in cui si interrogano su Cristo, da Delitto e castigo fino a I fratelli Karamazov con La leggenda del Grande Inquisitore.
Simonetta Salvestroni è abile in questo esercizio poiché è lei stessa docente di critica del cinema. Il saggio comincia con una domanda rivolta al mondo, ed è il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer a scriverla nelle sue lettere dalla prigione di Tegel e la rivolge a sé, «Chi è Cristo?».
A suggerimento della proposta di Bonhoeffer, l’autrice scruta i personaggi e fa emergere la loro percezione di Cristo nella povertà del loro vivere. Vengono presi in esame i personaggi che incontrano Cristo attraverso le letture di un testo biblico, come i due fratelli Karamazov, Ivan e Aleša, nella parabola del Grande Inquisitore. Dialogano di fede, libertà, miracoli, attraverso un racconto non scritto, ma immaginato dal razionalista Ivan e che da tempo serba in sé. Finalmente svela la parabola alla persona più fidata, suo fratello e monaco cattolico Aleša.
Il loro ragionare su temi scottanti dell’umanità tra fede e libero arbitrio, sul tentennare dell’uomo tra spiritualità e materialismo, tra rinunce e tentazioni, tra sì e no, fanno di questo racconto un testo sconvolgente e toccante allo stesso tempo.
Nell’analisi ne scaturisce ciò che ciascuno di loro sente e capisce di Gesù, le loro domande potrebbero essere quelle di chiunque, le ferite di questi personaggi potrebbero interpellare ciascuno di noi nelle nostre stesse ferite.
Ma quanti tra i personaggi di Dostoevskij giungono a una risposta e si convertono? Non tutti, solo alcuni. Altri non trovano risposte, altri ancora si convertono dopo un cammino molto lungo e accidentato fino a quando la risposta finalmente arriva, sebbene tramite l’aiuto di altri personaggi e tuttavia non in maniera immediata.
Come risulta dalle testimonianze, anche Dostoevskij si è convertito proprio durante il periodo più difficile della sua vita. Da giovane, infatti, era stato condannato al patibolo, ma la condanna a morte gli viene promulgata e nel giro di pochi giorni si salva con una pena di quattro anni di prigionia in Siberia. Durante la reclusione ha sempre con sé il Vangelo e lui stesso racconta di avere scoperto la fede proprio nel carcere. Gesù è il suo modello, fonte ispiratrice e presenza dominante in tutte le sue opere e così scrive: «In questi anni ho composto dentro di me un credo in cui tutto per me è chiaro e sacro. Questo credo è molto semplice, eccolo: credere che non c’è niente di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo».
Nelle sue opere la parola disperazione è ben rappresentata. Una seconda parola è purificazione, attraverso la sofferenza. Tra i personaggi sono i disperati e i vicini alla morte che infine riescono a vedere la verità. Marmeladov (in Delitto e castigo) sostiene che a toccare il fondo il rischio è di non riuscire a rialzarsi, ma è anche possibile di riuscire ad aprire gli occhi. Come succede infatti a lui, a cui infine gli occhi si aprono e si salva.