L’editore Gallucci ha cominciato a pubblicare, in luglio 2023, la nuova traduzione dei primi due volumi della serie dei Libri di Oz. Il meraviglioso mago di Oz nella traduzione di Mirko Zilahy e Il fantastico paese di Oz nella traduzione a quattro mani, di Stella Sacchini e Mirko Esposito. In autunno uscirà il terzo volume, Ozma, la principessa di Oz. L’autore, Lyman Frank Baum, da oltre cento anni famoso in tutto il mondo per questa serie, ha avuto nel tempo numerose edizioni anche in italiano. Qui di seguito l’intervista a Stella Sacchini e a Mirko Esposito sul loro lavoro di ritraduzione di questo grande classico...
Frank Baum è un autore classico della letteratura americana per ragazzi. Il Mago di Oz è anche un libro illustrato?
S.S.: Nel 1899, alla soglia del nuovo secolo, Lyman Frank Baum, scrittore americano fra i più amati dai bambini di ogni tempo, trovò la sua favola, una “favola dei tempi moderni” (come annuncia l’autore stesso nell’Introduzione al primo libro della saga oziana, in un cassetto. Per essere più precisi, lo trovò nel secondo cassetto dello schedario in cui custodiva in ordine alfabetico i documenti importanti. In quel maggio fin de siècle l’ammiraglio George Dewey sbarcava nella Baia di Manila, riportando la vittoria decisiva dell’esercito americano nella guerra ispano-americana. Lo stesso mese diede i natali a Dorothy e ai suoi meravigliosi compagni di viaggio. Baum cominciò a scrivere una storia chiamata La Città di Smeraldo. Tutte le sere, prima di andare a dormire, i bambini del quartiere di Chicago dove lo scrittore abitava insieme alla moglie Maud e ai suoi quattro figli si ritrovavano a casa Baum per ascoltare le ultime avventure della bambina del Kansas e dei suoi compagni di viaggio. L’autore ascoltava le loro domande e non lasciava mai un bambino senza la sua risposta, appuntava le loro osservazioni, i dubbi, i consigli, i suggerimenti sulla storia e sui personaggi, andando via via componendo quello che può definirsi un libro a due mani e tantissime manine. Una sera una ragazzina gli chiese in quale regione si trovasse la Città di Smeraldo. Lo scrittore, preso alla sprovvista, cominciò a guardarsi attorno, nella stanza. Diede una scorsa ai titoli dei giornali che riportavano la notizia della Baia di Manila, poi posò lo sguardo sul tavolo e sulle sedie, infine notò lo schedario, all’angolo, con i suoi due cassetti, il primo con l’etichetta A-N e il secondo con l’etichetta O-Z: Il Meraviglioso Mago di An non gli sembrò granché, come titolo: molto meglio Il Meraviglioso Mago di Oz. E così nacque il romanzo che rivoluzionò la letteratura per l’infanzia americana, originariamente illustrato da William Wallace Denslow e pubblicato per la prima volta da George M. Hill Company a Chicago il 17 maggio 1900. Da quel lontano 1900 a oggi The Wonderful Wizard of Oz è stato letto da oltre dieci milioni di persone. È uno dei quindici libri più venduti in America. Con più di dieci milioni di copie vendute e ventidue traduzioni in altre lingue (tra cui il Tamil e il serbo-croato) e, con i suoi 123 anni, resta uno dei libri più apprezzati dai bambini di ogni tempo e di ogni paese, confermandosi “la fiaba americana più famosa e amata”, come ha scritto Martin Gardner nell’introduzione a una delle ultime edizioni americane.
Quanti sono i romanzi della serie del Mago di Oz? I personaggi sono sempre gli stessi?
M.E: I romanzi della serie di Oz sono quattordici, scritti in un arco di tempo che va dal 1900 al 1920, anche se gli ultimi due, The Magic of Oz e Glinda of Oz sono stati pubblicati postumi. In realtà l’idea iniziale di Baum era di scrivere soltanto un romanzo, ma il successo fu così enorme e le richieste da parte dei lettori così pressanti che l’autore si convinse a scrivere altre avventure che avessero come protagonisti quei personaggi cui il pubblico si era ormai affezionato. È Baum stesso a ricordarlo nella Nota dell’Autore presente nel secondo volume (Il Fantastico Paese di Oz): alla millesima lettera ricevuta, in cui gli si chiedevano notizie dello Spaventapasseri e del Boscaiolo, l’autore avrebbe scritto un altro libro. Quella di Oz ha assunto nel tempo le caratteristiche di una vera e propria saga. Accanto ai personaggi noti al grande pubblico (lo Spaventapasseri, Il Boscaiolo di Latta, il Leone Codardo), Baum crea personaggi sempre nuovi e diversi, che ricompaiono in alcune “puntate” della serie, in maniera del tutto inaspettata, spiazzando il lettore. Dorothy, ad esempio, non compare nel secondo volume – il cui protagonista è invece Tip, un personaggio femminile, lo scopriremo soltanto alla fine, trasformato dalla strega Mombi in un ragazzo, mentre nel quarto (Dorothy and the Wizard of Oz) sono i tre compagni storici della ragazzina del Kansas ad essere totalmente assenti.
Nella nuova traduzione della serie del Mago di Oz siete più traduttori coinvolti. Lavorate insieme sullo stesso romanzo oppure ciascuno presta la propria voce a un romanzo singolo?
M.E: La collaborazione con Stella è nata alcuni anni fa, in maniera quasi del tutto casuale, con una revisione della mia prima traduzione importante per Feltrinelli, Tess dei d’Urberville. Quella che era nata, in sostanza, come una collaborazione limitata nel testo, è cresciuta, trasformandosi in un metodo di lavoro ormai piuttosto collaudato: in genere ci dividiamo il testo in parti tendenzialmente uguali e procediamo con una prima resa individuale. Nel caso specifico del Fantastico Paese di Oz, la divisione è stata fatta in base al numero dei capitoli. Nel corso del lavoro ci confrontiamo per discutere di alcuni traducenti o problematiche del testo, per così dire, “urgenti”, che cerchiamo di risolvere subito. Poi ci scambiamo le rispettive traduzioni e facciamo una revisione incrociata. Al termine procediamo almeno a un paio di riletture (l’ultima delle quali a voce alta, in modo da valutare anche la tenuta sonora del testo) in cui uniformiamo le nostre scelte traduttive.
Il Mago di Oz richiede di utilizzare un linguaggio specifico per ragazzi?
M.E: La questione del linguaggio utilizzato da Baum è assai interessante. Si tratta di un linguaggio in apparenza piano, in cui la costruzione del periodo è fondata, in gran parte, su un criterio di coordinazione. Le frasi sintatticamente complesse sono davvero rare. Questa apparente semplicità, tuttavia, non va confusa con una semplicità di contenuto. Il traduttore sa bene che si trova di fronte a un testo classico, un grande classico, per troppo tempo relegato a una narrativa di genere, che richiede scelte linguistiche consapevoli, non asservite alla necessità di un pubblico fatto, in larga maggioranza, da lettori piuttosto giovani che hanno bisogno di un lessico piano, non problematico. La semplicità di Baum è una riduzione ai minimi termini, fatta quasi col cesello, della complessità contenutistica. Non è affatto un libro banale da tradurre, ma richiede una serie di accortezze per mantenere la freschezza e la naturalità dei dialoghi, che hanno talvolta forti tratti della lingua orale. D’altra parte che Baum volesse proporre qualcosa di totalmente nuovo è esplicitato nell’introduzione al primo volume, dove l’autore parla di proporre una “favola moderna” in grado di mantenere intatte gioia e meraviglia, scacciando incubi e angoscia.
La serie del Mago di Oz può ascriversi alla categoria della “favola”? L’autore propone una morale?
S.S.: Sin dalla nascita, Frank Baum soffre di angina pectoris, una patologia causata da una scarsa ossigenazione del muscolo cardiaco che si manifesta con forti dolori al torace. Bambino solitario e costretto dalla malattia a una forzata immobilità, Frank passa le sue giornate a leggere, soprattutto storie fantastiche. I suoi autori preferiti sono i fratelli Grimm e Hans Christian Handersen. Lo dice lui stesso nell’Introduzione al Meraviglioso Mago di Oz: «Le fate alate dei Grimm e di Andersen hanno riempito di felicità il cuore dei bambini più di qualunque altra creazione umana. Eppure, dopo aver assolto alla propria funzione per generazioni può essere ormai classificata come “storica”, dato che è giunto il momento di più attuali “racconti di meraviglia”, in cui non trovano più posto gli stereotipi del genio, del nano e della fata né i terribili episodi sanguinari concepiti dagli autori per attribuire una morale spaventevole a ogni storia. L’educazione, oggi, tiene già in conto la morale; così il bambino moderno nei racconti di meraviglia cerca solamente lo svago e fa volentieri a meno di tutti gli episodi sgradevoli» (traduzione di Mirko Zilahy). Forse è per questo che all’inizio Il meraviglioso mago di Oz fu accolto con grande freddezza da editori titubanti, educatori inflessibili, maestre perplesse e genitori preoccupati. Una delle spiegazioni a questa ostilità diffusa è certamente da ascriversi allo stile troppo semplice e piano, e quindi considerato poco letterario, dell’opera e alla mancanza di una chiara morale, di un messaggio pedagogico. La letteratura per l’infanzia doveva “istruire”, sia da un punto di vista linguistico che morale, cosa che non fa il romanzo di Baum, la cui unica intenzione è quella di far divertire i bambini. In un prezioso saggio che Ray Bradbury dedica al Meraviglioso mago di Oz, dal titolo Per le cose meravigliose che fa, si legge: «No, non il Meraviglioso Mago di Oz. Piuttosto, il mago meraviglioso che ha dato alla luce il Mago. L. Frank Baum, che ha riempito da un capo all’altro il nostro secolo di gioie innocenti e sbadate delizie» (traduzione mia). «Chiunque tenti di trovare un fine in questa narrazione sarà perseguito dalla legge; chiunque tenti di trovare una morale sarà messo al bando; chiunque tenti di trovare una trama sarà passato per le armi» (traduzione di Franca Cavagnoli) tuona l’Avviso che Mark Twain pone come ammonimento all’inizio del suo Le avventure di Huckleberry Finn (1884): Lyman Frank Baum sembra aver imparato la lezione.
Vi occuperete anche di altre opere di Frank Baum?
M.E: Per adesso l’idea è di tradurre i quattordici volumi della saga di Oz. Il primo è stato tradotto da Mirko Zilahy. Degli altri tredici, invece, ci stiamo occupando io e Stella. La produzione di Baum è, tuttavia, così vasta che sarebbe davvero interessante riproporre alcuni dei suoi racconti brevi al pubblico italiano. Ci sono raccolte poco note che varrebbe la pena, a mio avviso, riproporre: American Fairy Tales (1901), una raccolta di dodici racconti fantasy, pensati per un pubblico più adulto, con un tono leggermente più satirico, e Animal Fairy Tales, che invece ammiccano al Kipling dei Jungle Books.
La vostra nuova traduzione è molto diversa rispetto a quelle precedenti?
S.S. Quando si tratta di una ri-traduzione, come in questo caso, di solito non andiamo a vedere come hanno tradotto i colleghi che ci hanno preceduto. Questo ci permette di trovare una “voce” nostra, che non sia influenzata dalle scelte di altri traduttori. All’inizio di ogni traduzione bisognerebbe restare “soli” (anche se in questo caso siamo in due) con la voce dell’autore, ascoltarla e capire come risuona in noi, che corde linguistiche va a toccare. È senz’altro utile confrontarsi con le altre traduzioni alla fine del lavoro, soprattutto su questioni particolarmente delicate e su certi nodi traduttivi. Una cosa che abbiamo scoperto “diversa” rispetto alle traduzioni esistenti è l’uso della forma femminile delle professioni. È il caso di Jinjur, personaggio che compare nel Fantastico paese di Oz: in inglese è definita general. In un’edizione che avevamo il traduttore o la traduttrice ha optato per “Generale Jinjur”. Come per Baum la soluzione è venuta dall’osservazione di un bambino: Alessio, un nipotino a cui stavo leggendo l’anno scorso questo libro prima di dormire. A un certo punto Alessio mi ha interrotto chiedendomi: “Ma se Jinjur è una donna perché la chiamano ‘generale’?”. Il dibattito piuttosto acceso sul genere femminile delle professioni si è dunque risolto in un attimo: Jinjur, la ragazza che a capo del suo esercito rovescia il governo del Re Spaventapasseri, è una “generalessa”, non un “generale”. Come sempre sono i bambini, con i loro “pensieri grandi”, per dirla con Franco Lorenzoni, a risolvere in un battito di ciglia questioni annose e inutilmente dibattute dagli adulti. Sulla scia di questa suggestione, abbiamo deciso di prendere per le corna anche la questione del gender e della fluidità di genere trasferendola nell’incertezza del genere grammaticale: il protagonista del Fantastico paese di Oz è Tip, un ragazzino. Più avanti, nel romanzo, si scopre che in realtà è una femmina trasformata in maschio dalla strega Mombi. La “transizione” al genere originario è accompagnata da tutta una serie di dubbi espressi dal protagonista stesso – «Be’, potrei provare per un po’, giusto per vedere com’è. Ma se non mi piacerà essere una ragazza, devi promettermi di trasformarmi di nuovo in un ragazzo» – e da un po’ di smarrimento nei suoi compagni:
Pronunciando le parole con dolce timidezza disse:
«Spero che nessuno di voi mi voglia meno bene, adesso. Sono sempre il Tip di prima… solo che…»
«Solo che sei un po’… diverso… volevo dire diversa» disse lo Zuccone;
e tutti pensarono che fosse il discorso più saggio che avesse mai fatto.
A quale fascia di età sono destinati i romanzi del Mago di Oz?
S.S. I libri di Oz che stiamo via via traducendo per Gallucci Editore non sono rivolti a una fascia d’età precisa: sarebbe riduttivo considerarli “libri per l’infanzia” o “classici per bambini”. La casa editrice e noi traduttori intendiamo presentarli ai lettori come il grande classico che sono, senza sottocategorie o specificazioni di sorta. La traduzione, integrale e filologica, mira quindi a far conoscere anche in Italia il lavoro rivoluzionario e sapiente dell’autore che ha inventato la favola moderna con l’unico scopo di far divertire grandi e piccini. Oggi come più di cento anni fa.