Cosa resta della notte

Ersi Sotiropoulos
nottetempo, 2019
Traduzione dal greco di Andrea Di Gregorio

Articolo di Alessandra Zuliani

Cercando del mio male le radici
avevo corso tutta la città.

Sandro Penna

Parigi, 1897. Costantino Kavafis trascorre tre mesi a Parigi con il fratello John, al termine di un lungo viaggio in Europa, prima di riapprodare ad Alessandria, città amata e odiata che “gli aveva bevuto il sangue, lo aveva prosciugato”.

La Ville Lumière lo attira e lo respinge allo stesso tempo, mentre cammina tra “i grandi boulevard, lungo ampi marciapiedi con le terrazze dei caffé, sotto tendoni o nelle gallerie dove le silhouette di sconosciuti si disegnavano fugacemente per poi svanire”. Lo accompagnano i ricordi del passato, gli spettri e le angosce presenti e l’incertezza del futuro. Sembra quasi ammaliato dal monito sul tempio di Apollo a Delfi, quel “conosci te stesso” che ci invita ad accettare la nostra limitatezza di fronte a qualcosa di più grande. Ma cosa tormenta Kavafis, l’impiegato che scrive poesie e che diventerà uno dei più grandi poeti moderni? “Aveva bisogno di ripartire da uno stato primordiale, quasi primitivo, almeno per quanto riguardava il suo desiderio di scrivere e il suo obiettivo, una tabula rasa che non lasciasse spazio a ciò che avrebbe perso, a tutte le cose che la sua devozione per l’Arte gli avrebbe negato”. Il poeta britannico Auden scrisse che Kavafis aveva tre preoccupazioni, ovvero l’amore, l’arte e la politica (intesa nel significato greco del termine), elementi vitali di una personalità complessa che Ersi Sotiropoulos mette a nudo, immagina e trasforma in un racconto verosimile, cercando di catturare tra le pagine i pensieri del poeta. Il romanzo, come spiega la stessa autrice, è frutto di anni di ricerca, fondata su una solida documentazione che conferisce alla storia una grande credibilità, tanto che al lettore risulta difficile distinguere la realtà dalla finzione. Kavafis si perde in una città che lo seduce, rievocando ricordi dell’infanzia e adolescenza, nel grembo di una famiglia facoltosa e cosmopolita, decaduta con la morte del padre, e di una madre possessiva e opprimente, la “Cicciona”, come viene chiamata nel libro. Cresciuto tra Londra e Liverpool, passando per Costantinopoli, torna giovanissimo ad Alessandria, dove vivrà per il resto della sua vita. Ma com’è Parigi durante il soggiorno dei fratelli Kavafis, aspiranti poeti entrambi, che si confrontano in preda a una profonda crisi esistenziale? Da una parte, la città e la Francia, come il mondo dell’arte, sono divise in due fazioni contrapposte, sconvolte dall’Affare Dreyfus, il maggiore conflitto politico e sociale della Terza Repubblica; dall’altra, vibra il fervore artistico e culturale della Belle Époque “dietro i vetri con le tendine rosse, le cui increspature erano percorse dai bagliori della luce e gas, le [...] figure sembravano esitare, un po’ irreali, teatrali”, come in un quadro di Toulouse-Lautrec. Immerso in questo ambiente, Kavafis, in uno stato di solitudine e inquietudine, si sente schiacciato e inadeguato di fronte al Parnaso dei grandi della letteratura francese, da Baudelaire, a Hugo, Verlaine, Rimbaud e Mallarmé. Ritiene le proprie poesie “immature”, “juvenilia” e sente il “bisogno di dare una svolta alla sua poesia [...], l’impulso sconsiderato di rompere le regole [...], di liberarsi dai lirismi e dalle forme eleganti, di purificarsi da ogni influenza di altri poeti e di correnti letterarie, di diventare lui stesso la sua corrente [...]”. Gli anni tra il 1896 e il 1904 saranno critici per la formazione del suo stile e della sua poetica, che aleggia nel romanzo di Ersi Sotiropoulos con riferimenti ora espliciti ora impliciti. Kavafis è un uomo coltissimo, un perfezionista, che compone poesie storiche, filosofiche ed erotiche, ispirate all'antichità ellenistica, romana e bizantina. La sua opera è carica di una nostalgia esistenziale, dell’amore per l’Arte, che assapora come godimento, e di amori illeciti, sensuali, plastici, contemplativi e carnali che ricordano il marmo sinuoso dell’Ermafrodito di Velletri (“la sua ambiguity ti provoca un trouble e alla fine ti lascia malinconico”, dichiara Kavafis, irrimediabilmente compiaciuto dalla bellezza maschile nella finzione-realtà del romanzo). Come il portoghese Pessoa, Kavafis avrà la sua fama postuma. Per una fatalità del destino, il più grande poeta greco dell’età moderna condividerà con il poeta degli eteronimi un viaggio in nave verso New York nel 1929 a bordo del transatlantico “Saturnia”. Fa da appendice al romanzo di Ersi Sotiropoulos la nota di Andrea Di Gregorio, traduttore di autori greci contemporanei, tra cui Petros Markarīs, che ricostruisce ogni dettaglio con sapienza antropologica, sociologica e storica. Cosa resta, quindi della notte? Dalla poesia “La notte” di Kavafis: “Ma quando giunge la notte con i suoi consigli, con i suoi compromessi e coi suoi pegni, quando giunge la notte con il suo potere del corpo che desidera e reclama, fa ritorno, s,ito, a smarrito, a quel suo predestinato piacere”.

Alessandra Zuliani


Editore di Cosa resta della notte